di Stefania Ragusa
Gli ultimi mesi del 2021 sono stati segnati, in positivo, da una serie di importanti riconoscimenti internazionali per la letteratura africana: dal Nobel assegnato ad Abdelrazak Gurnah, tanzaniano di Zanzibar, al Camões ricevuto dalla mozambicana Paulina Chiziane, al Goncourt andato al senegalese Mohamed Mbougar Sarr. Nello stesso giorno in cui veniva premiato Sarr, il 21 ottobre, lo scrittore sudafricano Damon Galgut ha conquistato il Booker Prize con il romanzo La promessa (Edizioni e/o, 2021, pp. 288, € 18,00).
La «promessa» è quella che Rachel, una donna bianca ed ebrea, fa nel 1985 a Salome, la sua domestica nera e cristiana, che l’ha assistita con amorevolezza durante la sua malattia: renderla padrona della casupola in cui abita all’interno della proprietà di famiglia. Dalla promessa, che gli eredi non mantengono e che le leggi del tempo non permettevano di mantenere, si dipanano i destini distinti ma inevitabilmente incrociati dei tre figli della donna. Con loro vanno in scena il declino di una famiglia di afrikaner e la storia contemporanea del Sudafrica, in un arco temporale che va dalla morte di Rachel al 2018, anno in cui “finisce” il potere di Jacob Zuma. Nel mezzo, il passaggio epocale rappresentato dalla fine dell’apartheid, con il suo portato di speranze disattese e contraddittorie, con il suo cambio di paradigma che mette tutti alla prova, oppressori e oppressi. Nella narrazione Galgut riesce a movimentare i punti di vista, passando sapientemente dalla terza persona alla prima e alla seconda, mantenendosi sempre distaccato e ironico, sulla soglia di un umorismo feroce.