A Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, c’è un centro di formazione professionale femminile che ogni anno sforna decine di bravissime meccaniche. Un film racconta la loro sfida ai pregiudizi.
Ha da poco compiuto venticinque anni. Il Centre féminin d’initiation et d’apprentissage des métiers (Cfiam) fu creato nel 1994 a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, su iniziativa statale, per promuovere la formazione e l’occupazione delle donne. Da questa scuola escono ogni anno schiere di sarte, ragioniere, segretarie… ma anche figure professionali tradizionalmente maschili: elettriciste e meccaniche. A queste ultime è dedicato il documentario Ouaga Girls, primo lungometraggio di Theresa Traoré Dahlberg.
Per un anno la regista ha filmato la vita quotidiana di un gruppo di studentesse dell’ultimo anno del corso di meccanica. Ne è uscito un lavoro sociologico dai risvolti interessanti. Le immagini mostrano le ragazze mentre seguono un po’ annoiate le lezioni, più interessate al cellulare e alle chiacchiere. Intensi primi piani raccontano gli incontri delle giovani con la psicologa della scuola, dove emergono i piccoli drammi di un’adolescenza difficile. C’è una ragazza orfana, un’altra rimasta incinta, un’altra ancora che vorrebbe fare la cantante.
Sguardo disincantato
Fuori dalla scuola c’è però un mondo, ed è là che le Ouaga Girls esprimono sé stesse. In giro per la città, le ragazze escono per divertirsi e per andare ai concerti. Ouagadougou, filmata con nostalgia in piani lunghi e rallentati, è una città di terra rossa, gremita di motorini, dove la gioventù urbana, schiacciata tra povertà strutturale, disoccupazione e un rigido patriarcato, è avida di emancipazione (specie dopo la caduta del regime di Blaise Compaoré, al potere dal 1987, costretto a dimettersi nell’ottobre del 2014 in seguito alle manifestazioni di piazza che chiedevano democrazia e alternanza politica).
Il contesto sociale e culturale è raccontato obliquamente attraverso stralci di trasmissioni radiofoniche, manifesti elettorali, conversazioni telefoniche, da cui traspare una fluttuante speranza per il “Paese degli uomini integri”, così come l’aveva sognato Thomas Sankara. Ma le Ouaga Girls sembrano non essere troppo interessate alla politica né avere grandi aspettative sul nuovo governo. Sono ragazze come tante e il documentario cerca di raccontare le loro vite senza eccedere nel dramma, senza interferire né dare giudizi.
Il desiderio della cineasta era quello di raccontare il delicato passaggio dall’adolescenza alla vita adulta, il momento in cui si fanno le prime scelte determinanti. Una terra di mezzo, afferma la regista, «dove i sogni, i desideri e il coraggio si scontrano con la presa di coscienza dello sguardo degli altri, delle aspettative della società e delle paure legate al diventare donna». Theresa Traoré Dahlberg, nata nel 1983 e cresciuta tra la Svezia, l’Olanda e il Burkina Faso con studi di cinema a New York e Stoccolma, è riuscita a creare un rapporto di fiducia con le studentesse, che hanno accettato di farsi filmare dopo aver visto Taxi Sister, il primo cortometraggio della regista, storia di tassiste senegalesi che sovvertono le regole di un mestiere dominato dagli uomini.
E le Ouaga Girls? Metà classe ha trovato lavoro in un garage, le altre hanno sospeso la ricerca di un’occupazione per dedicarsi ai figli appena nati. Bintou ha scelto di diventare parrucchiera.
(Simona Cella)