L’Egitto di Abd al-Fattah al-Sisi è il miglior cliente dell’industria delle armi italiane. Business is business. Gli affari sono affari. A dispetto della tragica morte di Giulio Regeni, probabilmente ucciso dai servizi segreti del presidente. A dispetto dell’incarcerazione di Patrick Zaky. A dispetto delle continue violazioni dei diritti umani da parte del regime del Cairo.
Nel 2019 il Governo italiano ha autorizzato la vendita di armi per 5,17 miliardi di euro e nella classifica dei «migliori» clienti c’è proprio l’Egitto. Al governo egiziano abbiamo venduto 871,7 milioni di euro di armamenti, dagli elicotteri ai carri armati. In particolare, forniremo 32 elicotteri prodotti da Leonardo. È quanto emerge dai dati contenuti nella relazione annuale del Governo Conte al Parlamento e anticipati da Rete Italiana per il Disarmo e Rete della Pace.
«Riteniamo gravissimo e offensivo che sia stata autorizzata la vendita di un così ampio arsenale di sistemi militari all’Egitto – è il commento delle due associazioni -, sia a fronte delle pesanti violazioni dei diritti umani da parte del governo di al-Sisi sia per la sua riluttanza a fare chiarezza sulla terribile uccisione di Giulio Regeni. Chiediamo al Governo di riferire il momento del rilascio di tali autorizzazioni per stabilirne la paternità e comunque di sospendere ogni trattativa di forniture militari in corso finché non sia stata fatta piena luce dalle autorità egiziane sulla morte di Regeni».
Da tempo l’Egitto si sta riarmando. Il Paese è al centro di una regione instabile. Le sue forze armate devono far fronte alle minacce del terrorismo, soprattutto nel Sinai; alle tensioni nella vicina Libia, dove da anni si combatte una feroce guerra civile; alle mai sopite tensioni con l’Etiopia, con al centro la controversia legata alla Grande diga del Millenio e alla possibile riduzione della portata del Nilo. In Egitto è però in corso anche una durissima repressione interna. Dopo il colpo di Stato che nel 2013 ha portato al potere il generale al-Sisi, si è assistito a un’azione durissima contro tutte le forze di opposizione, in particolare della Fratellanza Musulmana, partito molto forte che minaccia e ha minacciato il potere dei militari (di cui il presidente è espressione). Ciò ha comportato numerose violazioni dei diritti umani. Il caso Regeni e quello di Zaky ne sono due esempi eclatanti che toccano da vicino il nostro Paese.
Duramente repressa anche la stampa libera. È notizia di ieri, 17 maggio, l’arresto di Lina Attalah, direttrice del giornale online indipendente Mada Masr, considerata l’ultima testata libera in Egitto. Le forze di sicurezza hanno prelevato Lina Attalah mentre stava intervistando Laila Soueif, madre del blogger Alaa Abdelfatah, uno dei volti più noti della rivoluzione del 2011, condannato, scarcerato e poi rimesso in prigione pochi mesi fa. Secondo la redazione di Mada Masr, Lina Attalah è già comparsa davanti a un giudice ed è stata trasferita nel carcere di massima sicurezza di Tora, vicino al Cairo, dove sono custoditi molti attivisti e oppositori, compreso Patrick Zaky. Lina Attalah era già stata fermata per alcune ore a novembre insieme ad altri giornalisti in una retata delle forze di sicurezza nella redazione. Negli ultimi mesi ha ripreso a condurre inchieste delicate e ad alimentare polemiche contro il presidente Abdel Fattah Al-Sisi in genere trascurate dagli altri media egiziani. L’arresto di Lina Attalah arriva dopo un giro di vite nei confronti della stampa dei giorni scorsi. Tre giorni fa le forze di sicurezza hanno fatto irruzione nella casa di Haisam Hasan Mahgoub, giornalista di punta ad Al-Masry Al-Youm. È ha accusato di terrorismo, come ha confermato l’avvocato Karim Abdelrady, che ha denunciato una «campagna brutale» contro i giornalisti nel paese. Mahgoub è stato interrogato è accusato di sostenere e finanziare un «gruppo terroristico», nonché di diffondere «notizie false» che minacciano la sicurezza nazionale. Anche il fotografo Moataz Abdel Wahab, è stato arrestato per gli stessi reati. Il governo egiziano il reato di «notizie false» per mettere a tacere e reprimere il dissenso.
Tornando alla vendita delle armi, l’Egitto non è l’unica nazione illiberale con la quale l’Italia commercia. Al secondo posto c’è il Turkmenistan con 446,1 milioni (nel 2018 non era stato destinatario di alcuna licenza). Un Paese che non brilla certo per lo spirito democratico del proprio governo. Fra le prime dieci destinazioni delle autorizzazioni all’export di armi italiane nel 2019 troviamo anche l’Algeria, altra nazione che vive in un delicato momento di transizione.
Complessivamente il 62,7% delle autorizzazioni per licenze all’export ha come destinazione Paesi fuori dall’Unione Europea e dalla Nato. Rispetto all’anno scorso il valore dell’export ha registrato un lieve decremento (-1,38%). Per il settore armi, dunque, gli affari continuano ad andare bene ed è dal 2015 che il business vola. Basti pensare che il valore dell’export autorizzato nel 2015 è stato di 8,2 miliardi di euro, salito a 14,9 miliardi nel 2016 e 10,3 miliardi nel 2017.
Interessante anche la classifica delle imprese esportatrici. Al vertice e con largo distacco dalle altre troviamo Leonardo con il 58% dell’export autorizzato nel 2019, seguita da Elettronica (5,5%), Calzoni (4,3%), Orizzonte Sistemi Navali (4,2%) e Iveco Defence Vehicles (4,1%). Da chi invece compriamo armi? Le importazioni totali registrate sono state pari a 214 milioni di euro, per il 68% con origine negli Usa e per il 14% provenienti da Israele (va notato che in queste cifre non compaiono gli import da Ue e area economica europea non più soggetti a controlli).
(Tesfaie Gebremariam)