È più attuale che mai la “Lettera alla gioventù” di Amadou Hampaté Ba, testo visionario scritto nel 1985 dal saggio maliano peul, memoria personificata di un intero secolo africano, scomparso 30 anni fa in Costa d’Avorio all’età di circa 90 anni. Alla luce di come va il mondo di oggi – dalle guerre che affliggono ancora diversi Paesi africani, alla minaccia del terrorismo, dalla pandemia alle ingiustizie e ai divari tra popoli e classi – è lecito chiedersi se i giovani del 1985, ovvero gli adulti di oggi (e tra loro, coloro che guidano il mondo) hanno ascoltato i consigli del vecchio saggio. “I contesti si evolvono, i periodi si evolvono, ma le piaghe, i mali, sono spesso gli stessi”, ha risposto all’inviata della rivista Africa, Rokiatou Ba, figlia dello scrittore, durante la cerimonia di lancio del concorso letterario “La mia risposta alla lettera alla gioventù di Amadou Hampaté Ba” ad Abidjan, presso la Fondazione intitolata a colui che è considerato uno dei massimi custodi della tradizione orale, della cultura e della storia africana.
“Hampaté Ba ci diceva che possono cambiare i detentori del potere, ma chi ha in mano il potere non cambierà mai la propria maniera d’agire. Molte persone promuovono valori, ma la vera essenza di queste persone viene fuori quando giungono alle azioni”, ha sottolineato Rokiatou, splendida e accogliente ospite di una cerimonia di alto livello che ha visto la presenza di diverse personalità, tra cui diplomatici, esponenti dell’Unesco – che sostiene il progetto di digitalizzazione delle opere dello scrittore etnologo – e il principale finanziatore dell’iniziativa e sostenitore della fondazione, l’imprenditore Nabil Ajami.
Parlando con la reporter di Africa, Rokiatou Ba, che è anche direttrice della Fondazione, ha voluto ricordare che a causa di fattori esogeni, come la colonizzazione, la lotta per le indipendenze, gli africani sono stati tagliati fuori dalla propria cultura e dalle proprie radici. “Non possiamo chiedere a qualcuno di dare ciò che non ha. In questo senso, i giovani di allora non sono totalmente colpevoli”, ha precisato, di non aver pienamente colto i messaggi contenuti nella Lettera alla gioventù. “L’appello di Hampaté Ba ai giovani africani – ha continuato – era un appello a re-africanizzarsi, senza xenofobia, andando alla scoperta della propria storia, capendo com’erano fondate le società, ma sorridendo allo stesso tempo agli altri”.
Nel giardino del centro culturale dedicato all’opera del saggio, un’accorata lettura della “Lettera alla gioventù” è stata presentata al pubblico da un liceale franco-ivoriano, innamoratosi dell’opera del poeta e narratore, come molti studenti che gravitano attorno alle regolari attività della Fondazione. Le opere di Hampaté Ba, ha detto Yannik Ménager, riprendendo la definizione di Rokiatou, “sono oralità sdraiata sulla carta” e “mi hanno fatto capire quanto la nostra cultura africana è ricca. Quando penso ai tanti giovani africani che non conoscono la cultura africana, che la ritengono inferiore alla cultura occidentale, rimango basito ma non posso dare la colpa a questi ragazzi. Sono anni e anni di colonizzazione che hanno portato a denigrare la cultura africana”. Il giovane ha poi lanciato un appello ai suoi coetanei: “Ora tocca a noi cambiare le cose, attraverso la consapevolezza dell’opera di Amadou Hampaté Ba, che ha aperto una nuova era per cambiare l’Africa, perché ha dimostrato che gli africani sono capaci di redigere, di esprimere, in un francese sublime quanto il francese che si può trovare in Europa”.
Nella sua lettera alla gioventù Hampaté Ba metteva in guardia contro le sfide del XXI secolo e di un mondo globalizzato e interconnesso. Un’epoca tanto spaventosa, a causa delle minacce che fa pesare sull’umanità, quanto esaltante, per le possibilità che apre nell’ambito delle conoscenze e della comunicazione fra gli uomini. “La generazione del ventunesimo secolo vivrà un fantastico incontro di razze e idee. A seconda di come assimilerà questo fenomeno, ne assicurerà la sopravvivenza o ne causerà la distruzione attraverso conflitti letali. In questo mondo moderno, nessuno può più rifugiarsi nella propria torre d’avorio. Tutti gli Stati, forti o deboli, ricchi o poveri, sono ora interdipendenti, anche solo economicamente o di fronte ai pericoli della guerra internazionale. Che gli piaccia o no, gli uomini vengono imbarcati sulla stessa zattera: lasciate che si alzi un uragano, e tutti saranno subito minacciati. Non è meglio cercare di capirsi e aiutarsi a vicenda prima che sia troppo tardi?”.
Un altro tocco di tradizione all’evento è stato regalato dalla statuaria Sarah Diabaté, figlia del re della kora, Toumani Diabaté, e dal team del musicista maliano. Nella pura tradizione dei griot, danze, musiche e lodi ai presenti e al saggio scomparso hanno fatto da cornice al lancio del concorso rivolto agli alunni delle medie, dei licei e degli studenti ivoriani.
L’opera decennale dello scrittore etnologo, “di cui molti volumi inediti sono tuttora conservati nella sua ultima residenza ivoriana” – ha precisato ad Africa il bibliotecario della Fondazione – è stata pluripremiata e lo stesso saggio africano è stato per anni membro del consiglio esecutivo dell’Unesco, dal quale lanciò il suo grido d’allarme diventato famoso: “un vecchio che muore, è una biblioteca inesplorata che brucia”.
(Da Abidjan, Céline Camoin)