Sono da poco passate le cinque di pomeriggio di domenica 11 agosto, quando Alberto Campailla dell’Associazione Nonna Roma ed io vediamo dei ragazzi sulla riva della spiaggia sbracciarsi verso il mare aperto.
Stavamo passando per una stradina sterrata sulla costa, nelle vicinanze di Skala Sikamineas. Sapevamo già che molti degli arrivi di richiedenti asilo sull’isola avvenivano in questa parte di Lesbo e stavamo cercando le ong che si occupano di soccorso in mare. Non ci saremmo però immaginati di incontrarli così, dietro la curva, mentre andavamo in motorino. Un gruppo di ragazzi, tutti vestiti di bianco, fanno dei cenni verso il mare. In lontananza effettivamente si vede un puntino. Ci fermiamo. Un australiano, che scopriamo essere della LightHouse Relief, organizzazione non governativa con base in Svezia che si occupa, tra le altre attività, di soccorrere le persone agli sbarchi, ci spiega che sta arrivando un gommone carico di migranti. Chiediamo se possiamo restare. Risponde che non ci sono problemi, basta non ostacolare le operazioni durante lo sbarco.
Man mano che la barca si avvicina vediamo anche un altro gommone, decisamente meno carico e molto più agile che gira intorno alla barca dei rifugiati. Sono i volontari della Refugee Rescue, l’altra ong che si occupa del sar (salvataggio in mare). Il ragazzo australiano spiega che le due associazioni si coordinano per il salvataggio. Una esce in mare e, in collegamento con la Guardia Marina Ellenica, segue lo sbarco durante la sua traversata nelle acque greche, dando immediatamente supporto, con giubbotti salvagente e altri primi aiuti. LightHouse Relief li aspetta a terra con le coperte termiche, acqua, biscotti e all’occorrenza allertando il medico. Ed è infatti quello che vediamo accadere sotto i nostri occhi. Le persone a bordo del gommone veloce della Ong parlano e si accordano con gli uomini della Guardia Marina, poi accompagnano i migranti fino a riva.
A sbarcare sono una trentina di adulti e almeno 12 bambini. Qualcuno piange per scaricare la tensione. Altri rimangono silenziosi e assorti, cercando di capire che cosa succede. Ad un certo punto scorgo due bambini che si sono messi in riva la mare e in silenzio guardano il percorso appena fatto. Stanno l’uno accanto all’altro, come a farsi coraggio per la prova appena passata. Gli adulti hanno le reazioni più svariate: alcuni come i bambini, sciolgono la tensione in lacrime, altri ridono, alcuni si pettinano prima di farsi un selfie da mandare alla famiglia.
Un padre non smette di baciare i suoi due figli e la moglie. E nella folla vedo lei, quasi non credo ai miei occhi, divento quasi fastidiosa tanto la fisso per capire se è vero davvero quello che vedo. Tra gli arrivati c’è una donna di età indefinibile. Molto anziana, molto provata. E’ circondata dalle donne della sua famiglia e dai volontari. Ha uno sguardo velato, quasi indifferente a ciò che la circonda. Non riesco a capacitarmi di come a quella età ci si possa sentire a dover scappare da uno Stato all’altro.
Le persone arrivate sono quasi tutti afgani. Già nei giorni precedenti ci avevano detto che era questa la nazionalità della maggior parte dei nuovi arrivati. Molti di loro erano precedentemente nei campi profughi in Iran ma vista l’instabilità della regione e i venti di guerra che da più parte soffiano, stanno scappando in massa. La maggior parte arriva con tutta la famiglia. Ci hanno poi spiegato che ormai di siriani se ne vedono pochi mentre stanno aumentando gli arrivi dei sub sahariani: Camerun, Repubblica Democratica del Congo, Nigeria.
Nel frattempo compare il camioncino dell’Unhcr che inizia a caricare i migranti. Li portano in un campo profughi di appoggio nelle vicinanze, dove rimarranno per poco tempo per poi essere destinati ai due grandi campi: Moria e Kara Tepe.
Negli ultimi mesi sono aumentati gli sbarchi in questo lembo di terra. I volontari di LightHouse Relief ci hanno raccontato che solo loro hanno visto arrivare circa 900 persone a luglio. Ed ad agosto in pochi giorni erano già arrivate varie centinaia di persone. Gli sbarchi sono stati circa 3 o 4 al giorno. La vicinanza con la Turchia rende questo tratto di costa ben raggiungibile e, malgrado l’acqua gelida anche ad agosto, relativamente sicuro rispetto alle rotte che vanno dalla Libia a Lampedusa.
Il sistema d’accoglienza nell’isola è però in difficoltà. Secondo la legge greca i richiedenti asilo non possono uscire se prima non passano l’audizione. Tutto questo richiede almeno un anno e i nuovi arrivati si aggiungono alle persone già presenti. I due campi profughi, pensati per qualche migliaio di persone, sono arrivati a contenere circa 11.000 persone. Nell’isola scherzando dicono che Moria è il secondo comune per popolazione di Lesbo.
Con il nuovo governo di destra si parla di una nuova legge che renderà più difficile l’arrivo, grazie a degli aerei che pattuglieranno la costa, permettendo così di avvertire la Guardia Costiera Turca. Ma fino a quando questa fantomatica non ci sarà, Lesbo è destinata a rimanere un porto aperto e una speranza per chi cerca una vita migliore.
Francesca Materozzi