Chi lascerà l’Islam per abbracciare un’altra fede non dovrà più essere condannato a morte per apostasia. Ad affermarlo in un documento ufficiale è il Consiglio superiore degli ulema del Marocco, prendendo una decisione destinata a entrare nella storia non solo del Paese dell’Africa settentrionale, ma di tutto il mondo arabo. A darne notizia è il sito Morocco World News.
Utilizzando fonti primarie dell’Islam, la massima autorità religiosa marocchina ha affermato che il Corano parla in molti casi di apostasia e della sua punizione nell’Aldilà, senza menzionare alcuna punizione in questa vita, come nel capitolo 2 versetto 217 che dice: «E chi di voi rinnegherà la fede e morirà nella miscredenza, ecco chi avrà fallito in questa vita e nell’altra. Ecco i compagni del Fuoco: vi rimarranno in perpetuo».
Storicamente, la condanna di morte prevista per gli apostati, secondo gli ulema, non è mai stata una questione religiosa, quanto un problema politico. Secondo il Consiglio superiore, la dichiarazione del Profeta secondo la quale «chi cambia la sua religione, uccidetelo» va letta alla luce della sua spiegazione «colui che lascia la sua religione e abbandona il suo popolo», cioè chi tradisce la fede e i suoi compagni. Un passaggio che va contestualizzato ai tempi delle continue guerre contro la rivoluzione islamica in Arabia. In quegli anni, gli apostati rappresentavano la minaccia che i segreti della nuova Ummah fossero rivelati ai molti nemici. Lo stesso Profeta avrebbe lasciato andare chi, dopo essersi convertito all’Islam, era tornato alla sua religione precedente.
Secondo gli ulema, anche le guerre lanciate contro gli apostati da Abu Bakr as-Siddiq, primo califfo dei musulmani, sono in linea con il suo sforzo per mantenere unita la comunità islamica. Ma si tratterebbe di una decisione basata su un ragionamento politico piuttosto che su motivazioni religiose.
In sostanza, gli ulema è come se «depenalizzassero» l’apostasia, riconoscendo che non va punita dagli uomini ma, semmai, da Dio. Quindi non solo non va applicata la pena di morte, ma neppure un’altra pena (in Marocco, per esempio, gli apostati sono puniti con tre anni di carcere e non con la sentenza capitale).
Questa decisione del Consiglio superiore degli ulema si inserisce in un contesto particolare come quello marocchino. L’Islam locale non si è mai evoluto in un fondamentalismo intollerante e chiuso. Non solo, ma il Paese ha sempre accettato (anche se, a volte, con qualche attrito) comunità religiose non musulmane sul suo territorio. Fino al 1948, in Marocco vivevano circa 300mila ebrei. Molti di essi si sono poi trasferiti nel Nord America, in Francia e in Israele, ma la comunità ebraica locale può ancora contare su circa ottomila fedeli. In Marocco è poi presente anche la Chiesa cattolica. I fedeli sono 27mila con 36 parrocchie, 41 sacerdoti, 39 religiosi e 222 suore. Papa Giovanni Paolo II fece visita al Marocco, dove fu ben accolto nel 1985.
Il Consiglio degli Ulema dunque, cerca di tracciare una linea chiara su un tema di grande attualità, politicamente e socialmente scomodo come le conversioni. Conversioni che, nel silenzio, ci sono già oggi. Non solo dal sunnismo allo sciismo, ma anche al cristianesimo o, addirittura, all’ateismo. «Voci che nell’ultimo periodo sono uscite dalla clandestinità sfidando l’ipocrisia di chi li conosce, ma non li vuole riconoscere», come spiega la giornalista marocchina Kamrima Moual.