Liberia, Weah finora ha deluso

di AFRICA
Liberia - West Point

Si è persino laureato in Gestione Aziendale, dopo le critiche ricevute durante la campagna elettorale del 2005, il suo primo tentativo di conquistare la presidenza, per il percorso di studi per alcuni inadatto al ruolo di presidente. Eppure, George Weah, già Pallone d’Oro nel 1995, al governo della Liberia dal gennaio del 2018, ha ugualmente deluso le aspettative, almeno per ora. Dalla sua parte la fama più che l’esperienza politica, avendo all’attivo solo tre anni come senatore al momento della nomina a premier. Tre i punti forti della campagna elettorale che lo ha fatto vincere: lotta alla corruzione, istruzione accademica gratuita e miglioramento delle condizioni degli slum. A mandato inoltrato, però, trascorsi oltre sei mesi dal suo insediamento, Weah non aveva ancora dichiarato i propri beni alla commissione anti-corruzione, come previsto dalla legge (lo ha fatto dopo, in ritardo). E la storica decisione di annullare ogni tipo di retta universitaria annunciata nell’ottobre 2018 non ha tardato a rivelarsi poco sostenibile, aggravando le condizioni degli atenei, che hanno visto un aumento notevole del numero di iscrizioni ma risorse più scarse di prima. Riguardo agli slum della capitale Monrovia, quello di West Point più di tutti sperava che l’ex stella del calcio, che negli anni ’80, da adolescente, ha vissuto proprio in questa periferia, potesse risollevarne le sorti.

 Il progetto fantasma

Secondo una stima dell’Unicef del 2008, qui vivevano più di 75mila persone (oggi il numero è certamente maggiore), stipate in un’area priva di servizi essenziali ed in riva al mare, che erodendone la costa e distruggendone le abitazioni già fatiscenti ha generato 8.000 sfollati negli ultimi sette anni. West Point nasce come comunità di pescatori negli anni ’40 ed oggi è un rifugio a buon mercato per i più poveri. Nel luglio 2018, Weah ha firmato un protocollo per la sua modernizzazione (l’ennesimo, se si contano le iniziative dei predecessori), che prevede la costruzione di nuove abitazioni nel nord-ovest della capitale, a più di un’ora di strada di distanza. Coinvolgendo una dozzina di agenzie governative, tutte mal finanziate e in balia del caos burocratico, il progetto, indicato come la “fase due” per la periferia, procede a stento. Solo 108 unità abitative sono state completate, nemmeno il 5% di quelle che servirebbero. La prima fase, invece, cominciata dal precedente governo e mai decollata pienamente, consisterebbe nella realizzazione di una barriera costiera protettiva. Ma Weah non sembra avervi trovato spazio nel programma di spesa. Il budget annuale dello Stato, di circa un miliardo di dollari, dipende per quasi la metà da donatori internazionali. «Il governo ha altre priorità e non ci darà i fondi per la protezione del litorale» ha dichiarato Nathaniel Blama, direttore dell’Agenzia nazionale di protezione ambientale, «ora cerchiamo di raccogliere da altri partner stranieri i 40 milioni di dollari che ci occorrono».

«Se vivi a West Point, lavori a West Point»

Dopo ogni forte mareggiata, a West Point la scena è sempre le stessa: il piazzale d’ingresso, che di solito è un campo di calcio improvvisato nella polvere, si trasforma nel luogo di raccolta degli sfollati in attesa della distribuzione di beni di prima necessità: riso, olio, carta igienica e vari palliativi vengono donati dalle Ong che operano nel quartiere prima ancora che dalle autorità. «Siamo delusi oltre l’immaginabile», spiega Musa Sheriff, nato e cresciuto in questa periferia,  fondatore di Educate West Point, un’associazione che si occupa di programmi educativi che sopperiscono alla mancanza di scuole nella zona. «L’ultima visita di Weah risale a 2 anni fa e le soluzioni proposte comunque non bastano a risolvere i problemi. La gente ha paura di essere ricollocata perchè perderebbe la possibilità di lavorare». La Liberia è tra i Paesi più poveri del mondo e non si è ancora pienamente ripresa dalla disastrosa guerra civile terminata nel 2003. La maggior parte della popolazione sopravvive grazie all’economia informale. «Se vivi a West Point, lavori a West Point» prosegue Sheriff. Ci sono piccole botteghe e negozi che vendono beni di consumo. Altri si dedicano alla pesca. I risparmi sono messi da parte da famiglie che non potrebbero riprendere il lavoro in una nuova area. Il primo esperimento di ricollocamento di questa comunità avvenne negli anni ’70 e fallì già allora. I pochi ricollocati, sino ad ora, non hanno comunque impedito che nuovi abitanti si insediassero nel quartiere.

Un lockdown dal volto feroce

In quest’area le tensioni sono spesso amplificate dal perenne stato di crisi. Lo scorso aprile, durante il lockdown, una poliziotta, in un impeto di rabbia, ha ucciso una bambina di tre anni rovesciandole addosso una pentola d’acqua bollente mentre inveiva contro la sua famiglia uscita di casa. La preoccupazione per i bambini qui è un’abitudine consolidata. Josh Kpadeh è un uomo di strada, sfollato anche lui a causa del mare, e come tanti dorme in una chiesa del quartiere insieme alla famiglia. Del figlio di 10 anni dice: «Sa che non è normale abitare in una chiesa. Avverte il dolore per il degrado in cui viviamo ma non ha la capacità di esprimerlo».

(testo e foto di Jacopo Lentini)

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