Ricordate il giornalista Chin’ono che è stato messo in prigione in Zimbabwe per avere sostanzialmente fatto il suo mestiere? E il fumettista egiziano Ashraf Hamdi, che ha dato notizia in tempo reale del suo arresto, attraverso l’account FB? Di loro abbiamo parlato sul nostro sito e le loro vicende sospese adesso hanno trovato spazio anche su una piattaforma che l’Unione Africana ha lanciato la scorsa settimana, con il sostegno dell’Unesco. Safety of Journalists in Africa , questo il nome della piattaforma digitale, vuole essere uno strumento per migliorare le condizioni di lavoro dei giornalisti, contrastare le minacce e la violenza nei loro confronti, nonché a promuovere meccanismi di allerta, risposta rapida e capacità di risposta nel continente. Si ispira, nella forma e nella sostanza, Piattaforma per la protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti del Consiglio d’Europa.
Proporrà ai suoi visitatori materiale legislativo, notizie e monitoraggi paese per paese. Al momento solo una parte limitata di contenuti è stata caricata. La piattaforma sarà alimentata dalle azioni congiunte delle organizzazioni partner. quattro organi dell’Unione africana (lo Special Rapporteur on Freedom of Expression and Access to Information in Africa; l’ African Peer Review Mechanism; l’ African Governance Architecture; l’African Court on Human and Peoples’ Rights), organizzazioni della società civile, nonché reti di media e partner per lo sviluppo, in collaborazione con l’Unesco.
A presentare la piattaforma c’erano Cyril Ramaphosa, presidente del Sud Africa, e attuale presidente dell’Unione Africana, che ha speso parole incoraggianti sulla necessità di difendere la libertà di stampa nel continente; Audrey Azoulay, direttrice generale dell’Unesco; Jamesina King, della Commissione africana sui diritti umani e dei popoli (Au-Achpr). Presente anche il presidente del Burkina Faso, Roch Marc Christian Kaboré, che ha parlato del “dovere di difendere con forza il diritto dei giornalisti di fare il loro lavoro di raccolta, pubblicazione e diffusione di informazioni, anche se non siamo d’accordo con tutto o in parte di quanto viene detto o scritto”. Non c’erano, ovviamente, i presidenti di quei Paesi in cui la libertà di stampa è messa pesantemente in discussione. Sudafrica e Bukina Faso, ssecondo la mappatura di Reporters sans frontiéres (Rsf) si trovano nella zona gialla, vale a dire in una situazione che, pur presentando criticità, può essere considerata soddisfacente sia dal punto di vista della sicurezza dei giornalisti sia da quello della libertà di espressione. Ma ci sono 21 paesi che in quella mappa sono classificati come rossi o neri, ossia paesi altamente a rischio.
Se la caduta recente di alcuni dittatori ha prodotto miglioramenti sensibili in nazioni come Gambia o Angola, la libertà di stampa rimane fragile nell’area sub-sahariana, ricorda Rsf. Le situazioni più critiche, in ordine decrescente, riguardano Eritrea, Gibuti, Egitto, Guinea Equatoriale, Libia, Somalia, Burundi e Sudan. I paesi gialli si contano sulla punta delle dita: Namibia, Capo Verde, Ghana, Sudafrica, Burkina Faso, Botswana, Senegal (da notare che, con l’eccezione del Senegal, tutti questi paesi precedono l’Italia nella classifica). Tuttavia, i profondi cambiamenti necessari per consentire al giornalismo di alta qualità, libero e indipendente di prosperare sono pochi e rari. Peggio ancora, alcuni paesi come la Tanzania e il Benin, riferisce l’organizzazione, hanno registrato peggioramenti significativi. Aumentano gli arresti e le detenzioni arbitrarie e di lunga durata, così come gli attacchi in linea e le nuove leggi repressive di cui si può abusare per limitare la libertà di notizie e di informazione con il pretesto di combattere la disinformazione e la criminalità su Internet. La piattaforma voluta dall’Unione Africana dovrebbe contrastare tutto questo.
(Stefania Ragusa)