di Céline Nadler
L’ultimo rapporto di Civicus, alleanza globale di organizzazioni della società civile, denuncia la repressione dello spazio civico nell’Africa subsahariana, con il 70% della popolazione colpita da violazioni dei diritti fondamentali. Giornalisti, attivisti e manifestanti sono frequentemente arrestati o aggrediti, mentre alcuni Paesi, come Burkina Faso ed Etiopia, peggiorano ulteriormente. Solo Botswana e Liberia mostrano segnali di miglioramento.
Le condizioni dello spazio civico nell’Africa a sud del Sahara restano repressive. Lo dice un nuovo rapporto di Civicus, un’alleanza globale di organizzazioni della società civile, intitolato “People Power Under Attack 2024” e che rivela che 43 dei 50 Paesi e territori della regione hanno ostacolato, represso o chiuso lo spazio civico, lasciando quasi 900 milioni di persone, ovvero il 70% della popolazione dell’Africa subsahariana, a vivere sotto la repressione politica.
“Una vasta maggioranza non è più in grado di accedere ai propri diritti, di esprimersi o di impegnarsi in sforzi di democrazia o governance. Questa è una tendenza profondamente preoccupante” ha dichiarato Sylvia Mbataru, avvocato per i diritti umani e ricercatrice di Civicus, durante la presentazione del rapporto.
Complessivamente, il Civicus Monitor, uno strumento di ricerca globale che monitora le condizioni degli spazi civici in 198 Paesi nel mondo, osserva che nell’Africa subsahariana, la detenzione di giornalisti è rimasta la violazione dello spazio civico più comune nell’ultimo anno, come negli anni precedenti, seguita dagli attacchi ai giornalisti, dalla detenzione di difensori dei diritti umani, dalla detenzione di manifestanti e dalla censura. In effetti, nella regione, la detenzione di giornalisti è stata documentata in almeno 21 Paesi mentre aggressioni ai giornalisti si registrano in almeno 16 Paesi. Oltre ai giornalisti, i difensori dei diritti umani (Hrd) sono stati detenuti in almeno 17 Paesi dell’Africa a sud del Sahara con il presunto obiettivo di scoraggiare, intimidire e mettere a tacere gli attivisti, in particolare quelli impegnati in questioni di democrazia, ambiente e condizioni di lavoro. Infine, la detenzione di manifestanti è stata documentata in almeno 15 Paesi della regione.
In Burkina Faso, le libertà fondamentali sono state limitate dall’ultimo colpo di Stato militare del settembre 2022, portando al declassamento della valutazione del Paese da ostacolato a represso. Le violazioni della libertà di stampa e la censura sono aumentate sotto la giunta militare guidata da Ibrahim Traoré, che, spesso a causa della loro copertura della situazione della sicurezza, ha sospeso almeno 12 canali e programmi di informazione stranieri e locali dall’ottobre 2023. Da novembre 2023, le autorità militari hanno utilizzato sempre più la legge di emergenza per mettere a tacere difensori dei diritti umani, giornalisti, magistrati e oppositori. Simili denunce vengono mosse contro Guinea e Mali, Paesi sotto il regime militare. Nello specifico, in Guinea, la polizia ha impedito una protesta contro le restrizioni ai media imposte dalla giunta militare, programmata a gennaio nella capitale, Conakry, procedendo inoltre all’arresto di nove giornalisti e di un sindacalista.
Anche l’Eswatini è stato declassato da represso a chiuso, poiché il governo sta reprimendo ogni forma di opposizione, imponendo divieti di assembramenti pubblici e sorveglianza diffusa. I difensori dei diritti umani e i membri dell’opposizione continuano a essere presi di mira e ad affrontare attacchi per aver chiesto la democrazia nell’unica monarchia assoluta rimasta nel continente.
Come l’Eswatini, l’Etiopia è stata declassata dagli esperti di Civicus da repressa a chiusa, poiché conflitti armati e l’imposizione di misure di stato di emergenza in alcune parti del Paese hanno causato gravi violazioni dei diritti umani e un declino delle libertà civili. I difensori dei diritti umani, i giornalisti e i membri dell’opposizione affrontano gravi sfide nel loro lavoro, tra cui sorveglianza fisica e online, molestie verbali, intimidazioni e minacce per cercare di fargli interrompere le loro attività.
Il rapporto si sofferma in particolare sulla situazione in Kenya e in Nigeria, dove vengono denunciate repressioni violenti di proteste guidate dai giovani per evidenziare difficoltà economiche, cattiva amministrazione e corruzione. In entrambi i Paesi, le forze di difesa hanno ucciso decine di persone.
Il Kenya è infatti declassato da ostacolato a represso in seguito alla forza eccessiva e brutale utilizzata dal governo sin dalle proteste nazionali di giugno e luglio scatenate da una proposta di legge finanziaria, il movimento #RejectFinanceBill2024, che mirava ad aumentare le tasse e il costo della vita. La violenta risposta delle forze di sicurezza alle proteste ha causato la morte di almeno 60 manifestanti disarmati e l’arresto di oltre 1.200 persone, tra cui personale medico e giornalisti, numeri che i gruppi della società civile stimano molto più alti. Agenti della sicurezza nazionale e dell’intelligence hanno arrestato e rapito manifestanti, tra cui influencer dei social media che avevano espresso apertamente il loro sostegno alle proteste, con l’accusa di averle guidate e finanziate. Secondo la Commissione nazionale per i diritti umani del Kenya, al 31 ottobre, almeno 71 sarebbero stati i casi di sparizioni forzate o involontarie documentati.
In Nigeria, le autorità hanno arrestato e perseguito giornalisti ai sensi del Cybercrimes Act del 2015, nonostante i suoi emendamenti del febbraio 2024, ma anche durante le massicce proteste #EndBadGovernance di agosto, nel corso delle quali, almeno 56 giornalisti sono stati aggrediti , molestati o arrestati nell’esercizio del loro lavoro. Alle manifestazioni le forze di sicurezza hanno risposto con una forza eccessiva, utilizzando munizioni vere, proiettili di gomma e gas lacrimogeni, uccidendo almeno 22 persone, ad Abuja e negli Stati di Borno, Kaduna, Kano, Jigawa e Niger. Secondo fonti dei media, sono state arrestate oltre 1.100 persone. A settembre, la polizia di Abuja ha annunciato che alcuni manifestanti arrestati in relazione alle proteste, compresi dei minorenni, erano stati accusati di cospirazione per commettere tradimento, tentativo di destabilizzare il Paese, tentativo di rimuovere il presidente, dichiarazione di guerra contro il governo e incitamento all’ammutinamento. Il presidente Bola Tinubu ha successivamente ordinato la liberazione dei minorenni e il ritiro delle accuse di tradimento, reato passibile della pena di morte, nei loro confronti.
In Camerun, le autorità utilizzano disposizioni penali come “diffusione di notizie false”, “insulti” e “incitamento alla rivolta” per detenere e perseguire i giornalisti e i difensori dei diritti umani che vengono spesso processati nei tribunali militari.
Anche in Somalia, il rapporto denuncia che i giornalisti vengono spesso minacciati e arrestati, e in alcuni casi uccisi, mentre gli esperti di Civicus osservano inoltre che indagini giornalistiche per corruzione hanno portato a numerosi arresti, e a volte torture, in Senegal,Burundi, Niger e Zambia. In quest’ultimo Paese, nonostante le promesse del governo di sostituire l’obsoleto Public Order Act del 1955 con un Public Gatherings Bill progressista, le autorità continuano anche a violare il diritto di riunione pacifica.
Inoltre la sicurezza dei giornalisti è stata messa a rischio da fonti statali e non statali in occasione di processi elettorali o di crimini politici, come in Madagascar – dove viene anche registrato l’arresto di difensori dei diritti umani ambientali contro una possibile riapertura del progetto minerario Base Toliara dopo che è stato acquistato da una società mineraria internazionale con sede negli Stati Uniti -, Mozambico e Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Il rapporto di Civicus ricorda che giornalisti nel corso dell’ultimo anno sono stati aggrediti o detenuti anche in Paesi come Ciad, Lesotho, Malawi, Sudafrica, Tanzania e Togo. Il rapporto ricorda inoltre che in Sudafrica, a marzo, la polizia ha arrestato 22 dimostranti dopo aver disperso una protesta studentesca a Bloemfontein, nel Free State. In Zimbabwe, a giugno, altri 44 sindacalisti sono stati arrestati poco prima dello svolgimento ad Harare del summit della Comunità per lo Sviluppo dell’Africa australe (Sadc).
In Uganda, 11 difensori dei diritti umani ambientali sono stati arrestati tra maggio e giugno per il loro lavoro di advocacy contro l’oleodotto East African Crude Oil Pipeline, un importante progetto infrastrutturale mirato al trasporto di petrolio per l’esportazione dai giacimenti petroliferi dell’Uganda vicino al lago Alberto al porto tanzaniano di Tanga. Anche a luglio la polizia ugandese ha anche arrestato almeno 45 dimostranti e risposto con la violenza a proteste contro la corruzione. Prima delle proteste, il presidente Yoweri Museveni aveva avvertito i dimostranti che stavano “giocando con il fuoco”.
Anche in Guinea Equatoriale, dove lo spazio civico è chiuso, le autorità hanno continuato a detenere arbitrariamente i difensori dei diritti umani e li hanno spesso sottoposti a tortura durante la detenzione. Il perseguimento di attivisti viene anche denunciato in Angola e in Ciad.
In Malawi, diversi manifestanti sono stati arrestati durante una protesta contro l’alto costo della vita, tenutasi a Zomba il 23 novembre 2023, ed ad Accra, in Ghana, 53 persone sono state arrestate durante le manifestazioni contro il peggioramento delle condizioni economiche e la cattiva gestione del governo a settembre.
Al contrario, in Botswana e Liberia, gli aggiornamenti dello spazio civico da ostacolato a ristretto riflettono una notevole diminuzione delle violazioni. Dal secondo pacifico trasferimento democratico del potere in Liberia, quando il presidente in carica George Weah ha ammesso a fine 2023 la sconfitta a favore di Joseph Boakai, il rapporto Civicus ha documentato meno violazioni dello spazio civico, in particolare nelle aree della libertà di stampa e di riunione pacifica. Una situazione simile è stata notata in Botswana, dove la società civile è riuscita a respingere un processo di revisione costituzionale.