Dieci anni dopo la morte di Muammar Gheddafi, la Libia si prepara ad andare alle urne, il prossimo 24 dicembre, con la speranza che il processo politico avviato con la mediazione dell’Onu possa riportare stabilità e sicurezza nel Paese. E dopo un decennio segnato da divisioni, violenze, instabilità politica e un generale impoverimento, non manca nel Paese “una nostalgia” per gli anni di governo del colonnello. Un sentimento che non si traduce tanto nell’idea del “ritorno di un Gheddafi al potere”, a fronte di ripetute voci di una possibile candidatura del figlio del colonnello Saif, quanto piuttosto “nel bisogno di un uomo forte che riporti ordine nel Paese”, ha spiegato a InfoAfrica/Africa Rivista Claudia Gazzini, senior analyst dell’International Crisis Group.
Il 20 ottobre 2011, Muammar Gheddafi, al potere in Libia da 42 anni, venne catturato e ucciso dalle forze dell’opposizione nella sua città natale, Sirte, insieme al figlio Mutassim. Il suo corpo venne poi sepolto nel deserto in una località segreta, per evitare che la tomba potesse diventare luogo di pellegrinaggio o essere vandalizzata. Nel corso della rivolta popolare, diventata conflitto internazionale a seguito dell’intervento della Nato, rimasero uccisi anche altri due figli di Gheddafi, Khamis e Saif al-Arab, mentre Saadi e Saif al Islam vennero catturati.
Il mese scorso le autorità libiche hanno scarcerato Saadi, che ha subito lasciato il Paese per raggiungere la Turchia. Mentre dal 2017 Saif al Islam, 49 anni, vive da “uomo libero” a Zintan. Lo ha confermato lo stesso Saif nell’intervista rilasciata lo scorso luglio al New York Times, in cui ha fatto sapere di essere impegnato a “organizzare il proprio rientro in politica”. Saif non ha esplicitato l’intenzione di correre per le prossime elezioni, ma si è detto certo che il suo movimento, ispirato al Libro Verde del padre, possa riportare “unità” nel Paese. “Hanno violentato il Paese, che è in ginocchio – ha denunciato – non ci sono soldi, né sicurezza. Non c’è vita qui. Vai alla stazione di servizio e non c’è carburante. Esportiamo petrolio e gas in Italia, stiamo illuminando metà Italia, e qui abbiamo i blackout. È più di un fallimento. E’ un fiasco”.
Dichiarazioni che rispecchiano il sentimento della popolazione che da anni fa i conti con le conseguenze di una rivolta che ha finito per travolgere il Paese, alle prese oggi con carenza di servizi essenziali, disoccupazione, povertà. Stando a quanto precisato il mese scorso dal ministro dell’Economia Mohamed Hwej, le perdite dovute all’instabilità dal 2011 al 2020 sono stati pari a 1.000 miliardi di dollari; nello stesso periodo il prodotto interno lordo è passato da 90 a 40 miliardi, il valore del dinaro ha registrato un calo del 320% e il tasso di disoccupazione è aumentato del 20%.
In tale contesto, sicuramente “c’è una nostalgia per Gheddafi dovuta a questi 10 anni di sofferenze, violenze, impoverimento generale”, ha sottolineato Gazzini, ma si tratta di “una nostalgia che non si manifesta tanto nell’aspirare al ritorno di un Gheddafi al potere, quanto nel bisogno di un uomo forte, in parte influenzato dal modello egiziano, in parte per la nostalgia di un ordine nel Paese”.
E “i gheddafiani sono attivi nel perseguire questo modello – ha proseguito Gazzini – che in termini concreti significa che la Libia debba avere un presidente eletto, un presidente forte, con molti poteri. E infatti la legge emanata il mese scorso dal parlamento di Tobruk riflette questo modello”. Certo, “c’è anche chi sostiene Saif, ci sono persone che lo vedono come possibile aspirante leader”, ma è ancora “incerto se si candiderà o meno”, come d’altronde “non ci sono ancora ufficialmente i candidati alle prossime elezioni”.
“Di certo la legge non gli vieta di presentarsi alle elezioni. Ma se dovesse candidarsi, le fazioni anti-gheddafiane potrebbero rivedere le loro posizioni già abbastanza traballanti nel sostenere le elezioni”, ha ammonito l’analista.
Tuttavia, a giudicare da un sondaggio condotto a fine settembre dal sito web Libya Stats, Saif sarebbe il candidato favorito alla presidenza, avendo ottenuto il 48% delle preferenze, contro il 30% del generale Khalifa Haftar e il 17% dell’attuale premier del governo di accordo nazionale, Abdul Hamid Dbeibah, a cui spetta il compito di guidare il Paese alle urne.
(Simona Salvi)