La missione delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) ha espresso preoccupazione per alcuni video che stanno circolando sui social media in Libia, e che mostrerebbero torture nel carcere di Garnada, nell’est del Paese. “I filmati inquietanti – si legge oggi in un post sul profilo ‘X’ della missione – mostrano brutali torture e maltrattamenti ai danni dei detenuti nel centro di detenzione”.
“I video ritraggono numerosi detenuti, sia libici che stranieri, sottoposti a violente percosse e costretti a posizioni di stress da guardie in uniforme – prosegue la nota – Questi filmati sono coerenti con i modelli documentati di violazione dei diritti umani nelle strutture di detenzione in tutta la Libia. Mentre l’Unsmil continua a verificare le circostanze del filmato diffuso, condanna fermamente questi atti che costituiscono gravi violazioni del diritto internazionale dei diritti umani, compreso il divieto di tortura. Chiediamo un’indagine immediata e trasparente su queste presunte violazioni e che i responsabili siano assicurati alla giustizia”.
Un’indagine è stata chiesta anche dal ministero della Giustizia del Governo di unità nazionale di Tripoli: in una dichiarazione ripresa da Libya Observer, il ministero ha chiesto il rilascio immediato e incondizionato di tutti i detenuti e dei prigionieri scomparsi con la forza e un’investigazione trasparente sulle “pratiche atroci, per assicurare che i responsabili ne rispondano”.
Da parte sua, Diana Eltahawy, vicedirettrice dell’Ufficio regionale per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International, ha espresso profonda preoccupazione per i filmati “che mostrerebbero detenuti sottoposti a torture e altre forme di maltrattamento nella prigione di Garnada, che è sotto il controllo delle forze di Haftar”. I video hanno iniziato a circolare sui social da lunedì e sono stati confermati dall’Organizzazione delle vittime per i diritti umani libica, secondo cui alcune testimonianze dei prigionieri parlerebbero anche di torture letali. Sui social media e sui media libici circolano reazioni indignate che paragonano le carceri attuali a quelle del periodo di Muammar Gheddafi e alla prigione di Sednaya in Siria.