Le elezioni presidenziali e legislative in Libia si terranno il 10 dicembre. Lo hanno annunciato i negoziatori intervenuti alla conferenza internazionale, convocata dal presidente francese Emmanuel Macron, che si è tenuta ieri a Parigi. Un impegno, quello delle elezioni, che il presidente del Consiglio presidenziale Fajez Serraj, il generale Khalifa Haftar, il presidente dell’Alto Consiglio di Stato Khaled al Mishri e il presidente del Parlamento con sede a Tobruk Agila Saleh hanno preso di fronte all’inviato dell’Onu Ghassam Salamè, a quelli della Ue e dell’Unione Africana e ai rappresentanti di Paesi come Stati Uniti, Cina, Gran Bretagna, Russia, Italia, e poi Egitto, Tunisia, Ciad, Emirati, Qatar, Kuwait, Turchia, Algeria Marocco.
Anche se, va detto, l’impegno dei leader libici per il futuro della Libia è stato solo informale: la dichiarazione d’intenti non è stata infatti firmata dai presenti, come ha confermato lo stesso Macron. Inizialmente era in programma una firma davanti alla telecamere ma poi è saltata. «Ci baseremo su questo quadro», ha assicurato Macron.
Oltre all’impegno sulle elezioni, c’è quello sulla logistica del potere. Le istituzioni libiche non saranno più divise tra Tripoli e Tobruk, ma verranno unificate proprio in vista delle elezioni decise per il prossimo 10 dicembre, mentre la Camera dei Rappresentanti sarà trasferita a Tripoli.
Un tema centrale in questa conferenza è proprio il processo elettorale: la Libia non ha una legge elettorale e una Costituzione riconosciute e accettate, e a questo stanno lavorando commissioni supervisionate dalle Nazioni Unite. Nella Costituzione adottata nel luglio del 2017 da una costituente, ma mai ratificata con un referendum, c’è il tema della doppia cittadinanza di un candidato e della durata della sua residenza in Libia. Clausole che impedirebbero ad Haftar, rifugiato per 20 anni negli Stati Uniti, di candidarsi alla presidenza.