Libia, elezioni in bilico e possibili scontri

di claudia

Più si avvicina il giorno delle tanto attese elezioni libiche e più gli auspici sembrano nefasti. Ultimo tra tutti le dimissioni dell’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Jan Kubis, che tra lo stupore generale ha annunciato il suo passo indietro a un mese dalla data scelta per il voto, il 24 dicembre prossimo. L’analisi di Younes Nanis, ricercatore libico che lavora in Italia per l’Iniziativa globale contro il crimine organizzato transnazionale.

di Tommaso Meo

L’ex ministro degli esteri slovacco, succeduto a gennaio a Ghassan Salamè, non ha ancora spiegato pubblicamente il motivo di questa decisione. Reporter stranieri vicini al palazzo di vetro dell’Onu negli scorsi giorni hanno parlato di stress, ma secondo gli analisti potrebbe non essere il solo motivo. “Penso che abbia visto il progetto delle elezioni andare contro un muro e schiantarsi e non voleva avere questo fallimento sulle spalle” ipotizza Younes Nanis, ricercatore libico che lavora in Italia per l’Iniziativa globale contro il crimine organizzato transnazionale.

Vero o no, non è un mistero che lo scenario politico libico sia ancora estremamente diviso e il consenso attorno alle elezioni molto fragile. Anche se la comunità internazionale continua a sostenere il voto, rifiutando l’idea di un rinvio, in Libia non si è mai arrivati a un vero accordo né sulla base legale per tenere le elezioni presidenziali e parlamentari né sulle tempistiche. La Camera dei rappresentanti di Tobruk “fondamentalmente ha scritto la legge elettorale senza consultare l’Alto consiglio di Stato di Tripoli” spiega Nanis, ed è stata successivamente criticata soprattutto dall’area occidentale per avere approvato, a loro dire, una norma “fatta su misura” per alcuni candidati, come il generale della Cirenaica Khalifa Haftar.

Non so dire se le elezioni alla fine si terranno o meno, ma con l’attuale legge e tutte le divisioni è difficile” conferma Nanis. “Se questa legge cambiasse almeno per accettare tutti i candidati allo stesso modo, forse, potrebbero tenersi”, prevede. Per il momento, invece, il capo dell’Alto consiglio di Stato, Khalid al-Mishri, insieme a parlamentari e ad alcune municipalità dell’ovest, ha invitato i cittadini a boicottare il voto, proprio a causa della legge che permette ad Haftar di correre e che, a loro dire, porterebbe in ogni caso il Paese verso una dittatura.

Con queste premesse se le elezioni dovessero effettivamente tenersi, non sembra improbabile che qualcuno non accetti i risultati. “Lo scenario che vedo più probabile sono nuovi scontri”, commenta Nanis. Del resto, Haftar non ha mai assicurato che avrebbe accettato il responso delle urne e lo scenario si è complicato con la discesa in campo di Saif al-Islam Gheddafi, già condannato in patria e ricercato all’estero, che gode di un certo credito nel Paese. Sulla sua candidatura, per ora rigettata, avranno l’ultima parola i tribunali.

Per Nanis prima di tutto però è stato un errore della comunità internazionale pensare di fermare la conquista di Haftar di Tripoli promettendo delle elezioni. “Non dovrebbe funzionare in questo modo con chi ha iniziato una guerra” così come con Saif Gheddafi, sostiene l’analista che riconosce però le contrapposte pressioni internazionali. Se Haftar è sostenuto da Francia, Egitto ed Emirati Arabi, dietro Gheddafi c’è la Russia, spiega. Per questo Nanis critica anche la definizione di comunità internazionale quando si parla degli interessi in Libia: “questi Paesi hanno visioni troppo differenti”, dice, e per questo negli ultimi mesi e anni non sono riusciti ad avere una linea unica.

Rimanendo sul campo, però, per l’analista è un’illusione che le diverse parti “si mettano d’accordo e coesistano soprattutto nel caso in cui una dovesse avere potere sulle altre”. Una soluzione sarebbe che “una distruggesse interamente le altre” oppure che si spartissero nuovamente il controllo della Libia. Haftar a comandare sulla Cirenaica, Gheddafi al sud e nella Tripolitania i gruppi che hanno guidato la rivoluzione libica, vanificando i progressi degli ultimi mesi.

In attesa di capire se questi scenari preoccupanti saranno confermati, secondo l’analista, si può già constatare che sia stato tradito lo scopo primario di questo voto, quello di resettare la classe politica. “Si voleva cambiare il parlamento e le facce delle persone che ci stavano dentro”, ma in realtà, “se controlliamo tutti i candidati in corsa, specialmente per le elezioni presidenziali, sono stati tutti già in politica e al potere”. Un “riciclo continuo”, commenta Nanis, sperando che al punto di partenza non ci torni l’intero Paese. 

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