Dopo l’attentato al ministero a Tripoli, anche la Cirenaica è sotto attacco. Un gruppo di ribelli ciadiani ha preso di mira una base dell’Lna a Taraghin nel Sud del Paese africano, uccidendo un militare, ferendone altri e rubando armi e veicoli.
La crisi della sicurezza in Libia sta quindi cominciando a colpire direttamente anche il generale Khalifa Haftar. Le sue truppe si trovano nella zona per l’operazione Murzuq Basin, il cui obiettivo è fermare il terrorismo e la criminalità nella regione meridionale.
L’azione si aggiunge all’attacco del 25 dicembre avvenuto all’ospedale Jala a Bengasi, in cui miliziani armati hanno fatto irruzione nella struttura seminando il panico e danneggiandola. L’operazione ha fatto sì che nella città fosse adottato in tutta fretta un piano di sicurezza molto stringente, attivo per almeno tre mesi, che prevede posti fissi in tutte le vie di accesso e numerose pattuglie notturne.
Tutti i gruppi anti-governativi, da Isis alle milizie, passando per i mercenari stranieri, non percepiscono più le forze armate di Fayez Sarraj (a capo del governo di Tripoli) e quelle del generale Haftar (a capo del governo della Cirenaica) come una minaccia insormontabile.
La situazione della sicurezza in Libia sta così sfuggendo di mano alle autorità. Sia di Sarraj sia di Haftar. Lo confermano diversi elementi. In primis la capacità di Isis di attaccare bersagli di entrambi gli attori, segno che la formazione jihadista sta crescendo nel paese africano. Inoltre, le milizie continuano a combattersi tra loro e a occupare strutture chiave della nazione, nonostante i vari accordi e minacce. Infine, i mercenari stranieri e interni cominciano a prendere di mira anche le «forze armate» locali oltre che gli obiettivi civili.
A testimonianza del fatto che non le percepiscono più come una minaccia insormontabile, ma come una risorsa da cui attingere per ottenere mezzi, armi e munizioni. C’è il rischio, quindi, che queste formazioni si spingano più all’interno in Libia, aumentando il livello di insicurezza e il caos.