Alla Libia non occorrono corsi di formazione militare, navi o armi ma “law enforcement, capacità di tutela e promozione dei diritti umani e ripresa economica”. Lo ha detto a InfoAfrica Fadel Lamen, direttore del Libyan national economic social development board, pochi giorni prima della visita di Abdul Hamid Mohammed Dbeibah, primo ministro libico, a Roma.
“Per una buona relazione occorre avere obiettivi comuni” ha detto Lamen a InfoAfrica, spiegando che non sempre il nuovo corso di relazioni tra Italia e Libia, ma anche tra Ue e Libia, ha seguito questa logica. Da un lato, quello libico, la necessità di garantire la sicurezza per poter aiutare una necessaria ripresa economica e dall’altro, quello italiano ed europeo, la necessità di frenare i flussi di migranti irregolari che attraversano il Mediterraneo.
“Quello che serve è una strategia più ampia – sostiene Lamen – perché proteggere le acque e i confini non è la soluzione ai problemi comuni che dobbiamo affrontare”.
Ai libici “non occorre formazione sull’uso di armi o di imbarcazioni piccole e medie per il pattugliamento e la lotta ai trafficanti, il problema in Libia non è questo” sostiene Lamen. “Se la Libia intercetta i trafficanti, i migranti irregolari o blocca le imbarcazioni sulle proprie coste, dove pensate che finiscano queste persone? Nei centri di detenzione, che sono in pessime condizioni” e gestiti anche peggio: “Per questo non serve formazione sull’uso di armi, serve formazione sui diritti umani, sul diritto internazionale. Va adottato un piano strategico, più comprensivo ed ampio, la questione non è solo donare armi o imbarcazioni, questo è semplicistico. In Libia non c’è la capacità di identificazione dei migranti, non esiste un modo per valutarne lo status e la posizione legale, per concedere lo status di rifugiato”.
Lamen suggerisce un approccio più ampio e globale, che comprenda i diritti umani, il rafforzamento giuridico della Libia e l’economia.