In Libia, la guerra civile continua a mietere vittime. «Il bilancio dell’attacco di questa settimana contro un centro di migranti a Tajoura è di 53 morti e 130 feriti, che fa salire il bilancio totale degli scontri a Tripoli a quasi 1.000 morti e oltre 5.000 feriti». Lo riferisce l’Organizzazione mondiale della Sanità in Libia in un tweet. «L’Oms invita a una soluzione rapida e pacifica che metta al sicuro tutte le persone in Libia», aggiunge l’agenzia Onu.
Dal 4 aprile, la Libia e, soprattutto, la capitale Tripoli è diventata un enorme campo di battaglia. A confrontarsi le milizie fedeli al premier Fayez al-Sarraj e quelle di Khalifa Haftar, uomo forte di Bengasi. Fayez al-Sarraj è sostenuto prevalentemente dal Qatar e dalla Turchia mentre Khalifa Haftar ha l’appoggio di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (ma anche di Francia e Russia, sebbene in modo più defilato).
Nel corso delle settimane gli scontri, che inizialmente erano limitati ad alcune aree intorno alla capitale, hanno conosciuto un’escalation. Sul campo di battaglia sono arrivati grandi quantitativi di armamenti. Le milizie, che originariamente, erano dotate delle vecchie armi degli arsenali di Muammar Gheddafi hanno iniziato ad utilizzare droni, velivoli sofisticati, blindati di ultima generazione. Ciò a comportato un aumento delle vittime. La comunità internazionale non ha ancora saputo intervenire per bloccare i combattimenti. E non si vede ancora una soluzione alla crisi.