di Simona Salvi
“Le donne hanno un ruolo importante da svolgere nel cammino della Libia verso la stabilità”: questo il messaggio espresso dall’inviato speciale dell’Onu, Abdoulaye Bathily, negli incontri avuti nelle scorse settimane con più di 20 donne di Al-Jufra, Bengasi, Misurata, Sebha e Tripoli, tra cui candidate alle elezioni parlamentari, docenti, avvocatesse, ricercatrici e attiviste per i diritti delle donne. Stando a quanto riferito dalla missione Onu in Libia (Unsmil), l’inviato ha chiesto loro di presentare proposte scritte per affrontare le sfide del Paese, dalla crisi politica al disarmo, dalla smobilitazione al reinserimento dei miliziani armati fino all’inclusione delle donne negli sforzi di riconciliazione.
Ad oggi solo cinque dei 18 ministri del governo di unità nazionale libico sono donne. E le donne rappresentano solo il 15 per cento dei due organi legislativi del paese, tra cui due donne alla Camera dei rappresentanti di Tobruk e 20 donne nell’Alto Consiglio di Stato di Tripoli, su complessivi 133 membri.
“Le donne in Libia sono tra le più colpite negativamente dalla continua mancanza di stabilità politica della Libia, ma sono emarginate dalla discussione sulle soluzioni – ha rimarcato Bathily – dobbiamo fare tutto il possibile per attingere dalla saggezza delle donne e amplificare le loro idee e rimuovere le barriere alla loro partecipazione politica in futuro”.
Dina Fazzani, ricercatrice sui diritti umani che ha incontrato Bathily a Bengasi, ha sottolineato come la richiesta di proposte arrivata dall’inviato Onu sia un buon segnale riguardo alla priorità riconosciuta ai diritti umani nell’ambito del suo incarico, rimarcando quindi l’importanza che continui ad essere trasparente per creare fiducia con la comunità. Da parte sua Omaima Alfaqi, direttrice dell’Aladsa Oganization for Election Observation and Development di Al-Jufra, ha rimarcato che quando le donne possono partecipare alle discussioni sul futuro del Paese, in genere si occupano di settori tradizionalmente considerati femminili, quali l’assistenza sanitaria, l’istruzione o l’assistenza sociale. “La cultura libica limita le donne a determinati ruoli e questo ha un impatto sull’autostima delle donne – ha spiegato Alfaqi – c’è così tanto stigma sociale sulle donne che puntano al potere. Una donna potrebbe vergognarsi di cercare di uscire dagli schemi. Le donne libiche tengono molto alla loro reputazione, quindi questo è demotivante”.
Amina Megheirbi, una professoressa dell’Università di Bengasi che ha incontrato l’inviato Onu, ha quindi raccontato delle resistenze incontrate quando presiedeva una commissione per i diritti umani quando era membro del parlamento nel 2012. “Le donne libiche sono in grado di comandare, ma troppo spesso rimaniamo indietro a causa del predominio maschile”, ha affermato Megheirbi, che oggi guida l’organizzazione non governativa Altawasul a favore dell’emancipazione delle donne e dei giovani. “Quando noi donne abbiamo una possibilità, brilliamo”, ha concluso.
Immagine di apertura: Alaa Murabit, dell’organizzazione non governativa Voice of Libyan Women. Foto di Amanda Voisard in Licenza Creative Commons