Libia, “repressione contro i sufi nell’est”, la denuncia di Amnesty

di claudia
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di Giulia Filpi

L’arresto e la detenzione di un noto religioso hanno recentemente portato all’attenzione il tema della persecuzione dei sufi in Libia orientale, denunciata anche da Amnesty International. La scorsa settimana, l’organizzazione per i diritti umani ha lanciato un appello per il rilascio immediato di Sheikh Muftah al-Amin al-Biju, 79 anni, arrestato il 4 febbraio 2024 nella sua casa di Bengasi da forze armate in abiti civili affiliate al comando generale di Khalifa Haftar.

L’organizzazione ha denunciato la sua detenzione come arbitraria e ha espresso preoccupazione per la sua sparizione forzata e il peggioramento delle sue condizioni di salute.

Al momento del suo arresto, fa sapere l’ong, circa 20 uomini armati hanno saccheggiato la casa dello sceicco, sottraendo 150.000 dinari libici, e lo hanno trasferito in una struttura di sicurezza a Ras al-Mangar, sotto il controllo nominale del ministero dell’Interno del governo orientale di Osama Hammad. Amnesty International ha evidenziato come i sufi vengano perseguitati da gruppi della corrente madkhalita, alleati al comando generale. Originario dell’Arabia Saudita, il madkhalismo è una corrente salafita ispirata a una visione autoritaria del potere e a un forte conservatorismo in ambito sociale. Il caso di al-Biju si inserisce in un contesto di persecuzione religiosa che ha portato alla chiusura di centri sufi e all’arresto di diversi religiosi.

Sheikh Muftah al-Amin al-Biju

La famiglia dello sceicco non ha ricevuto alcuna informazione ufficiale sulla sua sorte. Fonti informali citate dal sito di notizie al-Wasat indicano che potrebbe essere detenuto nella prigione di Qarnada, tristemente nota per torture e maltrattamenti. Ex detenuti hanno riferito di condizioni disumane, inclusa l’esposizione al freddo senza vestiti adeguati e la mancanza di cure mediche. Lo sceicco, già debilitato dal diabete e da un precedente tumore, sarebbe stato trasferito brevemente in ospedale a settembre 2024, ma i familiari non hanno potuto incontrarlo.

Amnesty International ha sollecitato il comando generale a rivelare il luogo di detenzione dello sceicco, garantirgli cure mediche adeguate e rilasciarlo immediatamente. Inoltre, ha chiesto che osservatori indipendenti possano visitare le prigioni controllate dalle forze di Haftar per verificare le condizioni di detenzione.

Il caso di al-Biju riflette una tendenza più ampia di repressione contro oppositori e minoranze religiose in Libia orientale. Dal gennaio 2024, decine di persone sono state arrestate senza mandato, private di contatti con le famiglie e detenute senza processo. Video diffusi online hanno rivelato episodi di tortura nel carcere di Qarnada, spingendo il Procuratore generale militare ad avviare un’indagine. Tuttavia, Amnesty International ha documentato che tali abusi sono sistematici e persistenti nelle strutture controllate dalle forze di Haftar. 

Foto di apertura: la moschea sufi nella città costiera di Zliten, a Tripoli. Credit: Afp

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