Libia – Sarraj: «Chiediamo armi, non interventi di eserciti stranieri»

di Enrico Casale
miliziani libici

Il premier libico, Fayez al Serraj chiede la fine dell’embargo sulle armi per combattere l’Isis, ma avverte anche: «Il nostro nemico peggiore non è l’Isis», ma le divisioni interne e «i terroristi saranno sconfitti dal nostro esercito unito sotto il comando civile, non dalle milizie rivali che rivendicano un ruolo politico».
Appello del premier Serraj alla vigilia del summit internazionale oggi a Vienna: si parlerà del caos interno, della minaccia jihadista e del ruolo futuro del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte di Tobruk, sostenuto da Egitto, Emirati Arabi, Turchia e Francia che rifiuta di collaborare con il Consiglio presidenziale libico.
«C’è bisogno di uno sforzo comune per aiutare il processo che porti alla stabilità in Libia», ha ribadito anche nelle ultime ore il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Oltre al responsabile della Farnesina, e al segretario di Stato americano, John Kerry, che co-presiedono la riunione, partecipano i ministri degli Esteri e gli alti rappresentanti di una ventina di Paesi occidentali e arabi, insieme a Onu (l’inviato speciale, Martin Kobler) e Ue («madame Pesc»,Federica Mogherini).
La riunione avviene in un momento cruciale, in cui i jihadisti hanno allargato la propria influenza nella zona occidentale di Sirte, intensificato le incursioni a sud della zona costiera controlla dall’Isis, e il governo di unità nazionale voluto dall’Onu fatica a imporre la sua autorità (una minoranza del Parlamento ha rifiutato finora di dargli la fiducia). Le forze speciali di vari Paesi (in testa Usa, Gb e Francia) sono già operative in varie zone. Ma tramontata l’idea di un intervento armato straniero, a Vienna al Serraj chiederà alla diplomazia occidentale di assisterlo con armi e addestramento. Lo ha anticipato proprio alla vigilia del summit, sottolineando che la Libia può sconfiggere l’Isis da sola e senza intervento straniero, ma deve essere “stabile e sicura” e per questo ha bisogno di aiuto: “Non chiediamo soldati sul terreno, ma assistenza per l’addestramento e inoltre la revoca dell’embargo sulle armi”, oltre alla fine immediata delle sanzioni Onu che tengono congelati beni libici.
La guerra contro i jihadisti si intreccia però con un’altra battaglia, quella tra le forze del governo di unità nazionale e quelle del governo basato nell’est del Paese e dirette da Haftar. Le due autorità rivali stanno accelerando i preparativi per sferrare l’offensiva che liberi Sirte dai jihadisti, ma questo mette a rischio le prospettive di riconciliazione. A Vienna dunque si cercherà non solo di unificare le fila della strategia, ma anche di porre le basi per un’azione comune perché aprire il dialogo con Haftar servirà anche a coinvolgere le potenze regionali che lo sostengono.
(16/05/2016 Fonte: Agi)

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