Sulla Libia bisognerebbe parlare chiaro. Quella guerra non è un conflitto libico ma un conflitto che si gioca fuori dal Paese. E questo lo rende ormai insanabile, come lo sono state molte guerre africane (e non solo) della seconda metà del secolo scorso. Praticamente una guerra per procura che in Libia si gioca su diversi livelli.
Il primo è quello tra Italia e Francia. La prima sta con il presidente del Consiglio presidenziale libico con sede a Tripoli, al-Sarraj. La seconda con il generale Haftar, personaggio che è l’emissione del Parlamento di Tobruk. Roma e Parigi, dunque, hanno due visioni diverse di cosa dovrà essere la Libia del futuro collocata al centro del Mediterraneo. Se non ci fosse il conflitto tra Italia e Francia, in Libia sarebbe più facile trovare un compromesso. Ma le due potenze del Mediterraneo ci sono, e la guerra continua.
Un altro livello è quello inter-arabo, lo stesso che taglia in due il mondo arabo e si esprime, drammaticamente, nello Yemen, dove la guerra è devastante e nessuno riesce a fermarla. Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi sostengono il generale Haftar. Dall’altra parte, il Qatar e la Turchia appoggiano al-Sarraj.
Un altro livello ancora è quello internazionale. La Russia, che appoggia il generale Haftar, cerca di ritagliarsi una posizione nel Mediterraneo. L’Onu, la Nato, gli Stati Uniti glielo vorrebbero impedire.
Insomma la Libia è diventata il ricettacolo di svariati conflitti. È ciò che accade quando le guerre scoppiate su una dinamica locale non si riescono a fermare e si incancreniscono.
Oggi bisognerebbe dire chiaramente che i libici non c’entrano più niente o quasi e per fare la pace in Libia bisogna che facciano la pace Roma e Parigi, l’Arabia Saudita e il Qatar, gli Stati Uniti e la Russia, che invece se ne stanno defilati a guardare mentre “questi rissosi” libici si fanno la guerra, mettendo a rischio i civili e minacciando di scagliare verso l’Europa un milione di migranti, come fossero un missile.
(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)