Libia/1 – Rapimento italiani, si cerca di trattare

di Enrico Casale
soldato libico

La società Conicos non aveva fornito alcuna informazione alla Farnesina sulla propria presenza in Libia. Nonostante le richieste formali alle aziende italiane, la società Conicos non aveva fornito alcuna informazione alla Farnesina sulla propria presenza in Libia. Nonostante le richieste formali alle aziende italiane — ribadite più volte dopo il rapimento dei quattro dipendenti della Bonatti a Sabrata, avvenuto nell’estate del 2015 e concluso con l’uccisione di due di loro nel marzo scorso — i vertici dell’azienda avevano deciso di non fornire alcuna informazione sulla propria attività. E soprattutto non avevano «registrato» i dipendenti.
L’irritazione del governo italiano dopo il sequestro di Danilo Calonego e Bruno Cacace filtra in maniera evidente, soprattutto tenendo conto che altri due dipendenti della stessa Conicos erano stati rapiti nel 2011 e dunque era chiaro quale fosse il livello di rischio. Prende corpo quando il capo dell’unità di crisi del ministero degli Esteri Claudio Taffuri, parla pubblicamente e afferma: «Quando una società italiana opera in Libia li esortiamo a dotarsi di un sistema di sicurezza. Per noi è un Paese a rischio, ma capisco le imprese che hanno interesse sul posto e dunque sono invitate a dotarsi di sistemi sicurezza».
Il motivo del disappunto è evidente, visto che in casi del genere sono gli apparati dello Stato a dover poi trattare la liberazione ed eventualmente pagare il riscatto. Ma anche perché i pericoli per gli italiani all’estero sono stati più volte evidenziati soprattutto negli ultimi mesi e dunque viene ritenuto «irresponsabile» mettere in pericolo i lavoratori, esponendo così l’intero Paese alla minaccia, come accade ogni qualvolta ci sono connazionali presi in ostaggio.
Per chi sta cercando di aprire un canale di trattativa sono ore convulse. La convinzione di diplomazia e intelligence è che i rapitori siano criminali comuni, al momento viene esclusa la possibilità che i due tecnici siano nelle mani di un gruppo fondamentalista, tantomeno all’Isis. Ma si tratta appunto di una valutazione, nessun segnale concreto o richiesta credibile sarebbe ancora arrivata dai sequestratori. E dunque anche l’ipotesi della pista «politica» di ritorsione contro l’Italia per il suo sostegno al governo guidato da Fayez Serraj rimane tuttora aperta. Per questo si sta cercando di stringere i tempi, attivando ogni possibile canale e fidando sulle autorità locali che hanno assicurato il proprio impegno e si sono offerti anche come mediatori.
Bisogna scongiurare l’eventualità — realizzata più volte in passato — che i due italiani vengano «venduti» a una formazione più strutturata.(21/09/2016 Fonte: Corriere della Sera)

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