Di Claudia Volonterio
Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, circa il 40 per cento delle donne africane si sottopongono con regolarità a trattamenti di depigmentazione, ossia lo schiarimento della pelle, mosse da un solo desiderio: avere la pelle bianca. Stando alle réclame delle numerose creme in commercio, molte delle quali contenenti mercurio, prodotte appositamente da un mercato che nel giro di qualche anno diventerà miliardario (si stimano 31,2 miliardi di dollari entro il 2024), gli effetti ci sono e sono visibili. Poco importa se “sulla pelle” delle sue acquirenti, solitamente giovani, tra i 21 e i 35 anni di età. Sì, perché le conseguenze di queste pratiche cosmetiche sono tutt’altro che benefiche, sia dal punto di vista della salute, che sul piano sociale e culturale.
Definito dallo psichiatra e filosofo Frantz Fanon come “desiderio di lattificazione allucinatoria”, il desiderio della pelle bianca che spinge le persone con la pelle nera, in maggioranza di sesso femminile, a ricorrere a creme sbiancanti è insito nei significati simbolici e irrisolti che ancora oggi nerezza e bianchezza portano con sé. Fin dall’antichità, esacerbato e strumentalizzato durante l’epoca coloniale, il colore bianco è sempre stato associato a un concetto di pulizia, bellezza e ordine. Con il tempo è diventato un marcatore di superiorità imposto dalle persone di pelle bianca per affermare una presunta superiorità sulle persone con la pelle scura, nera, colore per secoli associato all’oscuro, al male, al demoniaco. Per “liberarsi del colore nero”, come se fosse una maledizione, sono stati creati i primi trattamenti cosmetici già a partire dal Cinquecento. La diffusione di queste pratiche sbiancanti è il risultato di ideologie che hanno trovato terreno fertile durante la tratta degli schiavi prima, e il colonialismo in seguito. Opinioni di presunta superiorità dell’europeo bianco si costruiscono proprio sul colore della pelle, idee che purtroppo non sono sparite con la decolonizzazione, ma sono rimaste ancora vive nell’immaginario delle donne nere, africane e non solo.
Le pubblicità di queste creme sbiancanti, comodamente acquistabili online, sono intimidatorie e sfruttano palesemente significati simbolici irrisolti. “Dì addio alla tua pigmentazione” o “indossa una nuova faccia” sono solo due esempi di frasi associate a volti di ragazze con la pelle più chiara, foto palesemente ritoccate da Photoshop. Cosmetici pubblicizzati come espedienti per raggiungere non solo un’ideale di pelle bianca, ma anche una ritrovata bellezza, contribuendo a corroborare idee razziste in nome del marketing.
Diffuse negli anni Sessanta, epoca di decolonizzazione, le creme sbiancanti sono cinquant’anni dopo ancora tristemente di moda. La loro diffusione è talmente capillare da costituirsi come il quarto prodotto più utilizzato dalle donne africane. I picchi più alti si toccano in Mauritania, Nigeria, Sudafrica, Togo e Mali. Un trattamento che può provocare seri problemi di salute, ma poche di loro ne è consapevole. “Due terzi delle ragazze che usano queste creme non conoscono i rischi dell’uso dei prodotti, perché sono analfabete o hanno frequentato solo le scuole elementari; l’altro terzo invece sa a cosa va incontro ma lo fa comunque per riaffermare la propria bellezza e perché, secondo loro, gli uomini preferiscono le donne chiare di carnagione” commenta Pauline Youbouet Yao, presidentessa della Società di Dermatologia e Venereologia della Costa d’Avorio.
La pericolosità in materia di salute di queste creme, ormai confermata da diversi studi, ha portato i governi di diversi stati quali Ghana e Costa d’Avorio a dichiararle illegali. Dalle controindicazioni più “blande” quali irritazioni, infezioni, macchie e acne, queste sono responsabili anche di effetti più gravi: diabete, cancro, insufficienza renale, assottigliamento della pelle. Quest’ultimo tristemente diffuso in Costa d’Avorio, dove sono molti i casi di donne morte in sala parto, per mancanza di tenuta dei punti di sutura a causa della pelle sottile.
Non solo creme. Lo sbiancamento della pelle si ottiene anche tramite iniezioni e pillole di glutadione, un’assunzione che travalica sempre di più il mondo della cosmesi, toccando quello farmacologico. Preoccupante il fatto che in alcuni casi queste pillole vengano assunte dalle donne incinte per tentare di sbiancare la pelle dei loro bambini già dall’utero. “È molto pericoloso per le donne in gravidanza assumere compresse sbiancanti”, avverte Catherine Tetteh, fondatrice della Melanin Foundation, organizzazione non governativa con sede a Ginevra che lotta contro lo sbiancamento della pelle. I prodotti iniettabili per schiarire la pelle sono “i più pericolosi, anche perché non si sa cosa c’è dentro”, spiega Shingi Mtero, docente di un corso sulla politica dello sbiancamento della pelle all’Università di Rodi , Sudafrica, in un’intervista.
L’Associazione degli psicologi neri con sede negli Stati Uniti osserva che il colorismo, ovvero la preferenza per la pelle più chiara, può influenzare l’autostima di un individuo, la percezione della bellezza e le opportunità economiche. L’industria della cura della pelle e dei cosmetici si sta approfittando del desiderio (e ossessione) delle donne africane di avere una pelle più chiara.
Il problema alla radice è profondo e frutto di secoli di oppressione ancora non superati. Molte nazioni africane stanno facendo un grande lavoro per cercare di limitare o vietare del tutto l’uso di queste creme e lozioni sbiancanti, agendo tassativamente anche sul marketing manipolativo, spingendo importanti brand di cosmetica e ritirare dal commercio alcuni prodotti a promozione di una pelle più chiara. Diverse associazioni, come la sopracitata Melanin Foundation, sono nate negli ultimi anni con lo scopo di sensibilizzare le donne sugli effetti dannosi culturalmente e per la salute dello sbiancamento della pelle. Azioni sicuramente importanti ma, stando ai dati di diffusione delle creme, non risolutive. Il problema non è solo il prodotto finito, ma ciò che c’è dietro. Non c’è nulla da schiarire, “pulire” o togliere, se non un costrutto tanto antico quanto deleterio: l’idolatria della pelle bianca.