Per nutrire i nostri animali affamiamo milioni di africani. È la scandalosa realtà che emerge da un rapporto realizzato da Changing Markets e Greenpeace Africa. La produzione di farina e olio di pesce nell’Africa occidentale è esplosa negli ultimi anni. Tonnellate di piccoli pesci vengono catturati lungo le coste della regione e trasformati in mangimi per il bestiame e per pesci d’allevamento al di fuori del continente africano o in prodotti per l’industria della cosmesi. A beneficiarne è soprattutto l’Unione europea. A farne le spese milioni di donne e di piccoli pescatori di Gambia, Senegal, Mauritania…
“Nutrire un mostro. Come l’acquacoltura europea e l’industria produttrice di mangimi per gli animali rubano cibo alle comunità dell’Africa occidentale”. È questo il titolo di un rapporto realizzato da Changing Markets e Greenpeace Africa e pubblicato ieri che rivela come pesci e altri animali d’allevamento europei stiano mangiando pesce pescato in Africa e trasformato in farina e mangimi, in quantità che potrebbero contribuire a nutrire 33 milioni di persone in Africa occidentale.
Secondo Changing Markets e Greenpeace Africa, la produzione di farina e olio di pesce nell’Africa occidentale è aumentata di 13 volte negli ultimi 20 anni. È passata da 13.000 tonnellate nel 2010 a 170.000 tonnellate nel 2019, con “conseguenze devastanti” per l’ecosistema e le popolazioni locali. A essere colpite sono le comunità che vivono sulla costa, in Gambia, Senegal, Mauritania, ma anche quelle che non hanno accesso al mare, che tradizionalmente trovavano nel pesce essiccato una importante fonte di proteine.
Dunque il problema riguarda anche il Niger, il Mali, il Burkina Faso. “Una grave minaccia per la sicurezza alimentare della subregione”, avvertono le due Ong, unita all’inquinamento ambientale nelle aree vicine alle fabbriche.
Secondo questa indagine, ogni anno 500.000 tonnellate di piccoli pesci vengono catturati lungo le coste della regione e trasformati in mangimi per il bestiame e per pesci d’allevamento al di fuori del continente africano; esiste anche una trasformazione destinata alla fabbricazione di cosmetici. Dal punto di vista socioeconomico, le popolazioni più colpite, “sono le donne, che tradizionalmente producono pesce affumicato, salato ed essiccato che vendono sul mercato locale, e i pescatori artigianali”, precisa il rapporto.
L’Unione Europea è il mercato principale per i prodotti di questa attività, denunciata da Greenpeace e Changing Markets. Ma la Cina non è esclusa, la domanda di farina di pesce è esplosa, a causa delle crescenti esigenze dell’acquacoltura. Una domanda che cresce anche in altri due Paesi asiatici: Vietnam e Malesia. Greenpeace e Changing Markets chiedono ai paesi dell’Africa occidentale di interrompere la produzione di farina e olio di pesce e di dare priorità al consumo umano di prodotti ittici.
(Stefania Ragusa)