L’isola-giardino di Dakar

di claudia

di Stefania Ragusa

Nel mare del Senegal riverbera la magia color pastello di Gorée. Al largo della capitale, l’isola di Gorée conserva un fascino speciale, grazie alla cura dei suoi abitanti, custodi dell’identità storica e culturale del luogo, che hanno abbellito edifici e vicoli di buganvillee e palme. I turisti la visitano in fretta, attirati da una fama ingiustificata, ma quel minuscolo approdo nell’oceano meriterebbe maggior attenzione

È indifferente che si tratti di un viaggio di affari, di piacere o legato a ragioni istituzionali: non esiste itinerario di visita a Dakar che non includa un’escursione a Gorée e un sopralluogo alla sua “Maison des Esclaves”, edificio simbolo della tratta atlantica. Dal lato opposto della penisola di Capo Verde, dove si estende la capitale senegalese, c’è tuttavia un’altra isola abitata che vale la pena di visitare e che negli ultimi anni, con lo sviluppo del turismo, ha visto crescere la sua popolarità. Si tratta di Ngor, una piccola enclave di tranquillità, raggiungibile in una manciata di minuti di piroga, e frequentata già negli anni Sessanta da una piccola nicchia di surfisti.

Luogo simbolo

Lontana dal traffico caotico della capitale senegalese, Gorée sa sedurre i suoi visitatori con le sue atmosfere languide e il suo fascino decadente. Roccaforte della memoria e meta di pellegrinaggi illustri (papa Wojtyla, Nelson Mandela e Barack Obama, per citarne solo alcuni), primo sito africano a essere riconosciuto patrimonio dell’umanità dall’Unesco, l’isola è senz’altro un luogo di interesse naturalistico e architettonico, ma la sua attrattiva principale è legata al significato che ha acquisito nel tempo. Nella percezione collettiva, infatti, l’isola compare come uno dei principali punti di snodo della tratta atlantica, e la Maison des Esclaves, con la sua “porta del non ritorno” aperta sull’oceano, è immaginata come la prigione lugubre in cui migliaia di uomini, donne e bambini sarebbero stati stipati e stoccati come merci, in attesa di salpare verso il Nuovo Mondo.

Vari studi hanno evidenziato una realtà diversa, se non altro dal punto di vista quantitativo. Da Gorée partirono sì degli schiavi, ma in numero contenuto. Altre basi di smistamento, logisticamente più accessibili, come Saint-Louis o Carabane, risultano essere state più attive e trafficate, benché di esse oggi non si parli. Secondo molti storici, l’isola di Dakar sarebbe diventata suo malgrado il luogo simbolo della tratta negriera, vittima di un abbaglio collettivo e di una fama ingiustificata che non le rende onore.

La stessa Maison sarebbe stata costruita dai francesi intorno al 1783, ossia quando il business della tratta era in declino. A occupare i piani bassi dell’edificio erano servitori trattati come cose dai loro padroni e dalle signares (donne meticce che intrattenevano relazioni sentimentali con i bianchi), ma non schiavi destinati alle Americhe.

Custode della memoria

Se il mito di Gorée, celebrato da Alpha Blondy, Gilberto Gil e altri musicisti, ha finito col sopravanzare la verità storica, ciò è dovuto essenzialmente ai racconti e alle ricostruzioni offerte ai visitatori, per oltre quarant’anni, da Boubacar Joseph Ndiaye, custode e curatore della Maison des Esclaves dal 1962. Anch’io, in occasione della mia prima visita a Gorée, ho avuto il privilegio di ascoltarlo e, indipendentemente dalla correttezza delle cifre e dalla precisione della ricostruzione storica, il racconto mi ha raggiunto come una sferzata. La tratta negriera ha smesso di essere un paragrafo nel manuale scolastico per acquistare spessore e rivelarsi in tutto il suo orrore e la sua miseria.

Ndiaye è mancato nel 2009, ma ha lasciato un libro, Il fut un jour à Gorée, che raccoglie la sua memoria e la sua missione. In Italia lo aveva pubblicato l’editrice Epoché, che ormai non è più in attività, con il titolo La schiavitù spiegata ai nostri figli. Ritornare alla Maison des Esclaves e non trovarlo è un’esperienza straniante, è come se fosse venuto a mancare un pilastro in un edificio che ha ormai un’esistenza simbolica indipendente da quella materiale.

Bellezza fragile

Altrettanto strano è uscire dalla casa degli schiavi e rendersi conto che la costruzione di fronte non ospita più un’altra istituzione dell’isola. Il “Musée de la Femme Henriette-Bathily”, rimasto chiuso per due anni, è stato trasferito a Dakar. Lungo le strade sabbiose, incorniciate da buganvillee lussureggianti, si aprono come nel passato piccoli negozi, ristoranti, atelier d’artisti. Il flusso di turisti però è decisamente più intenso di vent’anni fa, come dimostrano le lunghe file d’attesa per il traghetto. Gli abitanti gradiscono da un lato e, dall’altro, sembrano rassegnati a subire. «Il turismo è una risorsa importante per l’economia dell’isola. Quando durante il covid gli accessi sono stati sospesi per sette mesi, il comune si è trovato in grosse ambasce», mi racconta la proprietaria di una minuscola boutique. «D’altra parte l’impatto ambientale di tutti questi visitatori non è sostenibile. Mancano i servizi igienici e ogni sera siamo noi che viviamo qui a metterci a pulire e a raccogliere i rifiuti, spesso senza sapere dove metterli».

Vivere a Gorée è bellissimo, ma anche estremamente faticoso. La tassa d’ingresso, in vigore da settembre, dovrebbe servire a reperire le risorse per lenire almeno in parte questa fatica. «La maggior parte dei visitatori trascorre sull’isola qualche ora, sostenendo poche spese, e quindi immettendo poche risorse nel circuito ospitante», spiegava il sindaco Augustin Senghor in un’intervista. «Anche i mille franchi Cfa del biglietto per visitare la casa degli schiavi vanno al governo. I problemi a Gorée sono numerosi e importanti, e per affrontarli servono risorse dedicate». Tra questi problemi c’è la salvaguardia degli edifici storici color pastello. Molti cadono a pezzi, mentre gli interessi speculativi crescono. Le buganvillee e le palme nascondono efficacemente le crepe, ma non impediscono alle strutture di collassare.

Se l’isola ha saputo fin qui conservarsi e mantenere intatto il suo fascino decadente è solo grazie ai suoi abitanti, custodi dell’identità storica e culturale del luogo, gli unici a conoscere la bellezza segreta delle notti di Gorée, quando i vicoli si svuotano di turisti e si riempiono di magia.

Questo articolo è uscito sul numero 2/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop

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