Gli esperti delle Nazioni Unite hanno chiesto ieri il rilascio del giornalista e difensore dei diritti umani Dawit Isaak, imprigionato senza processo in Eritrea dal 2001. Lo si apprende da un comunicato delle Nazioni Unite nel quale viene espressa “incertezza sul fatto che sia ancora vivo”. Come ha sottolineato Mary Lawlor, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei difensori dei diritti umani, “fino ad oggi, Dawit Isaak non è mai stato accusato di un crimine, non ha mai trascorso un giorno in tribunale o parlato con il suo avvocato”.
Nei primi anni della sua detenzione, “abbiamo ricevuto informazioni che il signor Isaak veniva spesso portato in ospedale, il che era di per sé preoccupante”, ha aggiunto Lawlor sottolineando che “ora non riceviamo notizie, e questo è peggio. Temiamo per la sua vita”. La relatrice ha quindi affermato che “come minimo, l’Eritrea deve presentare immediatamente la prova che è vivo e sta bene”.
Dawit Isaak, 56 anni, doppia nazionalità svedese-eritrea, ha fondato uno dei primi media indipendenti dell’Eritrea negli anni ’90, il giornale Setit. Nel maggio 2001, ha pubblicato lettere aperte scritte da un gruppo di politici che esortavano il governo a tenere elezioni aperte e ad attuare una nuova bozza di costituzione. Con l’attenzione mondiale deviata dagli attacchi terroristici dell’11 settembre, Isaak è stato arrestato il 23 settembre 2001, ricorda la nota.
Secondo una fonte citata nel comunicato dell’Onu, Isaak era vivo nel settembre 2020, “il primo segno di vita in sette anni”. Secondo quanto riferito, è detenuto nella prigione di Eiraeiro, un centro di detenzione tristemente noto per le sue condizioni, dove la tortura sarebbe una pratica comune e dove molti detenuti sarebbero morti in custodia. “La scomparsa forzata di Isaak per quasi due decenni è estremamente preoccupante”, ha detto Mohamed Abdelsalam Babiker, relatore speciale sull’Eritrea. “Il governo dell’Eritrea non ha confermato la sua posizione né ha fornito alcuna prova solida sul suo stato di salute in tutti questi anni. Ha negato le accuse di tortura ma non ha permesso a nessuno di visitarlo”.
Il lavoro del giornalista è stato riconosciuto da una serie di premi prestigiosi, tra cui il premio dell’Unesco per la libertà di stampa e il premio Sakharov.