Il recente rapporto sulle persecuzioni anticristiane nel mondo curato da “Aiuto alla Chiesa che Soffre” si sofferma anche su alcuni Paesi africani. Causa preponderante è il fondamentalismo islamico. Diverso il caso eritreo.
2017-2019 Perseguitati più che mai è il titolo del “Focus sulla persecuzione anticristiana” della fondazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”, presentato il 24 ottobre nella basilica dell’Isola Tiberina a Roma. «Oggi il cristianesimo – ha sottolineato il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali – non ha più a che fare con il potere civile e non è più una forma di garanzia sociale. Per questo, forse, torna a disturbare come e forse più di prima. […] Essere cristiani è tornato ad essere un pericolo per la propria vita. […] Ovunque richiederà comunque la disposizione a pagare un prezzo alto e vero, come avvenne nei primi secoli».
Nei 20 Paesi considerati nel rapporto, durante il periodo dal luglio 2017 ad oggi si registra un peggioramento nei seguenti Paesi: Burkina Faso, Niger, Nigeria, Camerun, Repubblica Centrafricana, Eritrea, India, Sri Lanka, Myanmar, Cina, Filippine. In altri la situazione è invariata: Sudan, Egitto, Iran, Arabia Saudita, Pakistan, Indonesia, Corea del Nord. In lieve miglioramento: Siria e Iran.
I cinque motori
Dal 2007 viene confermata l’affermazione che il cristianesimo è la religione più perseguitata oggi. Sui circa 2 miliardi di cristiani (il 31,4% della popolazione mondiale), un cristiano su nove è a rischio persecuzione. Per 245 milioni il rischio è diventato realtà. I cristiani uccisi per la loro fede, di cui si ha certezza, sono 4305 nel 2018, ma un calcolo più approssimato per difetto è di circa 10.000 vittime annuali per l’ultimo decennio.
I motori che alimentano la persecuzione fanno riferimento anzitutto al fondamentalismo islamico e all’islamismo statuale. Dall’area del Medio Oriente e dell’Africa del Nord si è diffuso nei Paesi dell’Africa subsahariana e in molti Paesi asiatici.
Il secondo motore è alimentato dal radicalismo religioso connesso al nazionalismo come in India (induismo) o in Myanmar (buddhismo). Nei due casi precedenti, al condizionamento amministrativo-statuale si aggiungono le spinte civili e popolari più radicali.
Vanno segnalati inoltre i regimi comunisti (in particolare la Corea del Nord e, in termini più sfumati, la Cina). Elemento di grave pericolo per i cristiani è la violenza diffusa nelle società dove le istituzioni sono deboli o addirittura assenti.
Va aggiunto, a titolo diverso, il motore chiamato «cristianofobia», e cioè la declinazione laicista delle democrazie occidentali. In merito, mons. A. Camilleri, ex sottosegretario della Segreteria di Stato, ha ricordato alcuni mesi fa «altre forme di discriminazione e persecuzione che, sebbene forse meno radicali a livello di persecuzione fisica, cionondimeno nuocciono al pieno godimento della libertà di religione… Mi sto riferendo alla crescente tendenza, persino nelle democrazie consolidate, di criminalizzare o penalizzare i capi religiosi che presentano i principi base della loro fede, specialmente quelli che riguardano gli ambiti della vita, del matrimonio e della famiglia».
Le persecuzioni cristiane vanno collocate dentro le violenze alle minoranze e lette in parallelo alle violenze subìte da altre religioni, come anche agli atei che vivono negli Stati islamici.
Il fondamentalismo islamico
Il rapporto inizia: «Aumentano progressivamente la consapevolezza e le iniziative di denuncia, ma la persecuzione anticristiana continua a diffondersi, assumendo forme diverse e trovando nuovi colpevoli».
Dei Paesi citati, ne prendo in considerazione alcuni.
Il caso dell’Iraq, travolto da una lunga guerra, è noto. Nel 2003 i cristiani erano 1.500.000. Nell’estate del 2019 sono 150.000. In pochi anni la popolazione cristiana è crollata del 90%. Nella piana di Ninive, dove sono rientrate molte famiglie, la minaccia proviene ora dai miliziani sciiti shabak che esercitano continue pressioni per costringerle ad abbandonare l’area. «In tutto il Paese le comunità cristiane affrontano diversi problemi, tra cui le tasse aggiuntive che vengono imposte nelle aree a maggioranza cristiana dalla regione autonoma curda, la mancanza di sostegno per coloro che hanno subìto violenze sessuali, la confisca illegale di almeno 350 proprietà cristiane e gli omicidi isolati di cristiani appartenenti ad altre minoranze».
Anche in Siria fino a pochi anni fa i cristiani erano 1.500.000. Oggi non arrivano a 500.000. Sono sottoposti a vessazioni soprattutto a Idlib, dove subiscono furti e abusi e dove i fondamentalisti di Tahir al-Sham hanno imposto la legge islamica, la sharia. Nelle zone controllate dalle milizie curde, numerose scuole gestite dalla Chiesa sono state chiuse nell’ambito di un piano di “curdizzazione”. È forte il timore che lo scontro in atto tra Turchia e le milizie curde possa comportare un nuovo esodo cristiano oppure un ritorno dell’Isis, la cui presenza in quest’area non è stata cancellata.
In Africa, il Niger è interessato alla migrazione della galassia islamica dal Maghreb al Sahel. L’Isis sta infatti riducendo la sua attività in Libia e in Algeria, mentre incrementa la sua presenza nel Paese vicino. A partire dal 2017 anche al-Qaeda ha aumentato la sua pressione criminale, mentre in altre zone sono attive le truppe di Boko Haram. Il 17 settembre del 2018 padre Pierluigi Maccalli è stato rapito probabilmente da islamisti di etnia fulani. A oltre un anno dal rapimento non si sa ancora nulla. Il Paese ha una Costituzione laica ma, essendo popolato per il 95% da musulmani, la spinta per fare della sharia il riferimento legislativo è molto forte.
Nel vicino Burkina Faso il pericolo è l’eliminazione della presenza cristiana. Anche qui sono attive molte milizie islamiche, da Ansar ul Islam a Jnim (gruppo per il sostegno dell’islam) ad al-Qaeda. I terroristi attaccano i cristiani e, in particolare, i cattolici per il loro livello di educazione e le loro responsabilità istituzionali. Nel 2019 sono stati uccisi tre sacerdoti e rapito un quarto. «Non si può tuttavia ridurre la minaccia ad una serie di cause prevalentemente politiche. Il vescovo di Fada N’Gourma, Pierre Claver Malgo, ha infatti sottolineato: «Quando ad essere attaccati sono i nostri fedeli, viene sempre chiesto loro di convertirsi all’islam e di abbandonare la propria fede».
Anche in Eritrea la situazione sta peggiorando. All’indomani della pubblicazione della lettera pastorale dei vescovi cattolici sulla pace e la riconciliazione nazionale, la pressione persecutoria si è ulteriormente sviluppata. Sono stati chiusi 22 centri sanitari di proprietà di congregazioni e diocesi cattoliche. Altri 8 centri erano già stati confiscati in precedenza. Nel settembre 2019, sette scuole, quattro delle quali gestite dalla Chiesa, sono state sequestrate dal governo. I vescovi hanno denunciato il fatto come espressione di odio alla fede.
Dall’Africa all’Asia
Spostandosi in Asia, si può ricordare che in Pakistan dall’approvazione della legge antiblasfemia sono 224 i cristiani accusati. Se il caso più noto, quello di Asia Bibi, è stato risolto lasciandola partire verso il Canada, è indicativo che, alla sentenza della Corte costituzionale in suo favore, si siano riempite le piazze del Paese per chiedere la sua condanna e la condanna dei giudici. I cristiani subiscono molte discriminazioni, chiamati a svolgere spesso i mestieri più disagiati, sporchi e svilenti. Nella regione del Punjab le ragazze cristiane e indù continuano ad essere rapite e costrette al matrimonio islamico. «Negli ultimi anni – ha detto il card. J. Coutts, arcivescovo di Karachi – l’intolleranza all’interno della società pachistana è costantemente aumentata, aggravata dalla crescita di gruppi islamici militanti ed estremisti quali i talebani e altri affiliati ad al-Qaeda e allo Stato Islamico».
In Myanmar si parla di guerra invisibile e di compagna genocidaria per l’1,6 milioni di abitanti dello stato di Kachin. I cristiani dell’area sono stati uccisi, violentati, torturati e perfino usati per ripulire le aree disseminate dalle mine anti-uomo. 3000 i villaggi rasi al suolo, 200 le chiese distrutte. Semplicemente insostenibile la condizione dei 100.000 sfollati che vivono nei campi profughi. Rispetto alla maggioranza buddhista, tutte le minoranze religiose sono soggette a pressioni relative alla proprietà, ai luoghi di culto e alla vita civile. Alla vigilia del Natale 2018, nel villaggio di Sestsi (Rakhine) una folla di 50 persone tra cui tre monaci buddhisti hanno attaccato un gruppo di cristiani durante la messa e ferito seriamente il celebrante. Due mesi prima, nello stato di Wa, erano stati arrestati 200 leader cristiani.
In India, col governo nazionalista di Modi, si segnalano 440 episodi di violenza nel 2017 e 477 nel 2018. Gli attacchi includono omicidi, violenze sessuali e stupri di gruppo. Più di 100 chiese sono state chiuse e nei confronti della violenza induista e nazionalista si può parlare di clima di impunità. Secondo un recente censimento, la percentuale degli induisti del Paese è scivolata sotto l’80% con il risultato di allarmare i nazionalisti, che denunciano pretese conversioni forzate.
Rimane drammatica la situazione della Corea del Nord, dove la persecuzione dura da 60 anni. È considerato il luogo più pericoloso per i cristiani che, quando vengono riconosciuti, sono catturati, torturati e inviati nei campi di lavoro dei prigionieri politici. Sarebbero dai 50 ai 70.000 quelli e quelle detenuti nei campi. Il 75% muore a causa del trattamento ricevuto, dei lavori forzati e delle torture. 80 cristiani sono stati giustiziati in uno stadio perché trovati in possesso della Bibbia. Disertori nord-coreani hanno riferito di atrocità quali un neonato, figlio di una prigioniera, dato in pasto ai cani da guardia, aborti forzati e l’esecuzione di prigionieri affamati sorpresi a cercare piante commestibili.
Qualcosa si muove
Qualche cosa si sta muovendo in ordine all’attenzione dei media occidentali nei confronti delle persecuzioni anticristiane. Alla tradizionale attenzione del Congresso degli Stati Uniti e del Dipartimento di Stato si sono aggiunti gli orientamenti del Parlamento europeo sulla libertà religiosa e di credo e la nomina di un Inviato speciale per la promozione della libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
I partiti di maggioranza del governo tedesco hanno stanziato fondi per la libertà religiosa e contro le persecuzioni. Qualche attenzione in più anche da parte dell’Italia, dell’Austria, dell’Ungheria e della Francia.
Tornando all’intervento di mons. Camilleri: «Ci troviamo di fronte a livelli di persecuzione che potrebbero essere considerati come una forma di genocidio, dove la presenza di cristiani si sta sistematicamente cancellando dalle società e dalle culture, anche nelle aree della loro stessa origine. Questa aggressione mirata non è soltanto un attacco alla coesistenza pacifica fondata sul pluralismo religioso, ma è anche – e più fondamentalmente – al concetto essenziale della pari e inviolabile dignità di ogni essere umano».
Il rapporto integrale 2017-2019 Perseguitati più che mai è scaricabile da qui.
Padre Lorenzo Prezzi è il direttore di SettimanaNews