Reportage dalla capitale dell’Angola, emblema di una nazione tra le più diseguali e lacerate al mondo, sospesa tra slum e grattaceli, tra baracche di lamiera e locali sontuosi. Una metropoli bella e spietata
testo di Marco Simoncelli – foto di Marco Trovato, Marco Garofalo e Giulio Paletta
I grattacieli del centro di Luanda dominano lo sfondo della Marginal, il sontuoso lungomare di cui la capitale angolana va orgogliosa. Piste ciclabili, palme, locali e servizi di lusso fanno credere di essere in qualche città del Golfo Persico. Perfino a ridosso dell’antica Fortaleza di São Miguel, costruita a difesa del porto nel XVI secolo, è stato costruito lo Shopping Fortaleza, un tipico mall tappezzato da cartelloni di griffe d’alta moda.
Crisi economica
Nella cidade baixa, la parte più antica della città che si affaccia sulla baía di Luanda, fra i vecchi edifici risalenti all’epoca coloniale portoghese spuntano come funghi enormi cantieri per uffici e hotel superlusso avviati nell’era delle vacche grasse e mai terminati.
Sono passati diciotto anni dalla fine della logorante guerra civile. Il Paese è tra i primi venti produttori di petrolio al mondo. Dopo il conflitto viveva di illusioni sommerso dal denaro: il prezzo dell’oro nero arrivò a 160 dollari al barile e il Pil cresceva a doppia cifra. Fino all’estate del 2014, quando quella miniera d’oro è implosa e il prezzo è sceso inesorabile fino ai 60 dollari del 2019 per poi crollare del tutto nei mesi scorsi a causa della crisi legata all’epidemia di Covid-19 facendo perdere al governo il 40% dei suoi ricavi. Il fiume di denaro si è prosciugato e tanti sogni sono ormai offuscati.
«C’è sempre meno gente che esce dagli uffici e i miei affari vanno male». Esclama da dietro la mascherina l’anziana Cesaltina seduta sul marciapiede di rua Rei Katyavala che per molti mesi non ha potuto lavorare a causa del lockdown iniziato il 26 marzo 2020. Lei è una zungueira, una venditrice di strada che prepara il magoga, un panino ripieno di pollo fritto e un fiume di maionese che i luandesi, ricchi e poveri senza distinzioni, amano mangiare a colazione. «Questi grossi palazzi circondati da gru e ricoperti da teli sono fermi così da anni ormai, e quelli completati in realtà vuoti. La sera sono tutti spenti! Non girano più i soldi di prima… Solo quelli che si sono arricchiti in quegli anni vanno in giro con le macchine di lusso.», conclude la donna indicando un gruppo di giovani che per qualche kwanza lavano freneticamente una Chevrolet rosso fiammante da migliaia e migliaia di dollari parcheggiata lì di fronte.
Contrasti stridenti
Nonostante tutto, l’Angola è considerata ancor oggi la terza economia dell’Africa subsahariana, ma è anche una delle più diseguali al mondo, e Luanda ne è l’emblema. Nel sud della città, nella zona di Quinanga, si passa dall’opulenza del consumismo alla miseria più nera. Non lontano dalla nuova sede del Parlamento, ultimata nel 2015 a costi elevatissimi, migliaia di baracche di legno, stracci e lamiere sono addossate l’una all’altra. Erette su palafitte improvvisate, lambiscono quell’acqua salmastra e nera piena di vermi. I rifiuti sono dappertutto e le fogne a cielo aperto si riversano in mare.
Siamo all’Areia Branca (“sabbia bianca”, ironia del destino), uno dei tanti musseques (slum) che circondano il centro città. «Quando c’è l’alta marea l’acqua sale e invade le case più vicine alla riva. Ci sono intere famiglie che condividono case di pochi metri quadri, senza servizi né elettricità. La gente vive in queste condizioni estreme per colpa del governo», denuncia André Augusto, coordinatore dell’ong angolana Sos Habitat, che tutela i diritti dei cittadini dei quartieri più disagiati di Luanda e che poi conclude «Qui si vive alla giornata con il settore informale. Durante la quarantena molta gente ha rischiato di morire di fame e ha sfidato le restrizioni della polizia che ha risposto con la violenza». Anche in quest’area il governo ha dovuto schierare le forze armate per far rispettare il coprifuoco ed è sotto accusa per via degli eccessi dei suoi militari. Secondo i gruppi di difesa dei diritti umani sarebbero almeno cinque le persone uccise dalla polizia nel Paese dall’inizio del confinamento.
Sfrattati a migliaia
Ma i problemi di questo slum erano iniziati ben prima dell’arrivo del virus quando sono arrivate centinaia di persone peggiorando le già precarie condizioni della baraccopoli. Nel 2014 il governo, nell’ambito dell’idea della “Grande Luanda”, ha deciso di sfrattare la popolazione da una vasta area della zona di Chicala per realizzare il “Bairro dos Ministérios”, un nuovo quartiere in cui dovrebbero essere concentrati tutti i ministeri, più hotel e uffici pubblici. I costi del megaprogetto annunciato nel luglio 2019 non sono noti, ma già migliaia di famiglie di pescatori sono state costrette a trasferirsi fuori città, nelle nuove centralidades come quella di Zango e Kilamba, con la promessa di indennizzi e abitazioni mai consegnati.
«Le istituzioni hanno espropriato e poi abbandonato questa gente. Alcuni sono rimasti in città arrangiandosi come potevano, altri sono andati nelle centralidades, ma anche là si sono ritrovati nelle baracche», conclude Augusto. Le centralidades sono enormi quartieri residenziali che il governo ha iniziato a costruire nel 2011 con finanziamenti cinesi. Dovevano servire a ospitare la nuova classe media emergente e a decongestionare le baraccopoli creando quartieri popolari fuori Luanda, che con i municipi attigui sfiora sei milioni di abitanti, numero in crescita con le continue migrazioni dalle campagne.
Corruzione e malgoverno
Come spesso accade in Angola, corruzione, nepotismo e malagestione, unite alla crisi, hanno reso il progetto fallimentare. Oggi si può passeggiare per queste città fantasma dagli infissi malconci fra le strade ricoperte di erbacce, per poi imbattersi di nuovo nelle baracche di legno dove un uomo, tenendo in braccio sua figlia, e indicando le enormi torri bianco giallastre, afferma con l’amaro in bocca: «Noi siamo costretti a vivere qui nel niente, mentre a cento metri ci sono case inutilizzate che per noi costano troppo, ma che sono state pagate con le ricchezze di tutti».
Sono paradossi a cui in Angola ci si abitua, partendo dalle discoteche dell’Ilha de Luanda e andando a cascata, prima negli slum sterminati che circondano la capitale, come la Lixeira o Cacuaco, fino all’entroterra nelle zone rurali dove il tempo s’è fermato. La povertà dilaga e il Paese ha continuamente disinvestito nei servizi sociali e nel settore sanitario, che è gravemente arretrato come ha dimostrato l’emergenza sanitaria pubblica dei mesi scorsi, anche se ufficialmente l’Angola è stato tra i Paesi meno colpiti dal covid-19 in Africa (solo 86 casi confermati e 4 vittime). «Una nazione che negli anni del boom aveva entrate fiscali dal petrolio e dai diamanti per miliardi di dollari oggi dovrebbe offrire un altro livello di vita. È stato sbagliato qualcosa», afferma l’ex direttore del Semanário Económico, Pedro Narciso.
Élite politico-militare
La maggior parte dei 30 milioni di angolani vive ancora con meno di 2 dollari al giorno. Di recente l’Istituto nazionale di statistica (INE) ha dichiarato che 4 angolani su 10 vivono al di sotto del livello di povertà specie nelle aree suburbane e rurali. “Ma i dati governativi sono sempre da prendere con le pinze”, avverte Narciso, secondo cui potrebbero essere peggiori e probabilmente aumentati dopo l’epidemia. L’economia è in stagnazione in un Paese fortemente indebitato (il rapporto debito /Pil ha raggiunto il 111%), soprattutto con la Cina (Pechino detiene il 70% del debito pubblico), dove non è stato fatto nulla per diversificare dal petrolio, da cui proviene il 95% delle sue entrate. «Nonostante abbiamo migliaia di ettari di terre arabili e risorse idriche, non produciamo nulla. Sono state abbandonate durante la guerra civile, così importiamo tutto dall’estero. Le élite dell’Mpla hanno divorato il futuro degli angolani e continuano a sperperare denaro», sentenzia ancora il giornalista economico, ricordando che più di due anni fa il governo ha negoziato un prestito di 3,7 miliardi di dollari con il Fmi in cambio di riforme e tagli per far uscire il Paese dalla recessione nel 2020, ma di tutto ciò non si è vista ancora la messa in pratica e, anzi, dopo la pandemia il Fmi prevede una contrazione del Pil del 3% e Luanda ha già chiesto al G20 di rinegoziare il debito.
Il Movimento popolare di liberazione dell’Angola (Mpla), che governa dal 1975, mantiene un regime durissimo e repressivo guidato da un’élite politico-militare, forgiato su capitalismo clientelare e corruzione. Tale casta è stata protetta per 38 anni dal presidente, José Eduardo dos Santos, e dalla sua famiglia, arricchitasi tra affari poco chiari, numerosi scandali e utilizzo di fondi pubblici. Eppure, più di tre anni fa erano nate forti aspettative di cambiamento quando dos Santos ha lasciato il potere a João Lourenço, ex ministro della Difesa e veterano dell’Mpla.
Svolta apparente
“JLo”, come viene abitualmente chiamato, aveva promesso lotta alla corruzione e un aiuto alla popolazione, rilancio economico e la creazione di posti di lavoro. Sembrava facesse sul serio quando venne incriminato il figlio dell’ex capo di Stato, José Filomeno dos Santos, per appropriazione indebita dal Fondo sovrano dell’Angola. Un pensiero che si consolidò ulteriormente quando JLo estromise dal consiglio di amministrazione della compagnia petrolifera nazionale Sonangol la figlia di dos Santos, Isabel, considerata la donna più ricca d’Africa la quale è stata anche investita da un’inchiesta giudiziaria per riciclaggio di denaro e appropriazione indebita che ha portato al sequestro dei suoi beni e conti correnti in Angola e in Portogallo.
Ma a parte questo però l’accenno di risanamento morale si è affievolito e JLo, oltre a tentativi di rilancio dell’economia attirando investitori esteri e a una maggiore libertà d’espressione, non è riuscito a ottenere molto altro e la nazione resta in attesa di un suo nuovo spunto in particolare in questo momento storico post-epidemia.
«Più che una rivoluzione sembra essere stata una vendetta contro dos Santos e il suo entourage per consolidare il potere di JLo nell’Mpla», spiega Rafael Marques de Morais, giornalista oppositore, che resta scettico «perché in questo Paese non puoi essere riformista se sei costretto a riciclare i vecchi tecnocrati nella tua squadra. Se ti attorni di squali, finisci col diventarlo tu stesso e il malaffare è così diffuso che come sollevi una pietra ti ritrovi di fronte un serpente». E gli scandali che stanno affiorando a Luanda sembrano il frutto di un regolamento di conti all’interno dell’oligarchia, in una sorta di Dynasty angolana in cui sono invischiati un po’ tutti gli uomini e le donne di potere.
Qualcosa si muove
Secondo Marques sarà difficile che le cose cambino, perché «la gente non sa cosa significhi essere liberi. Non lo è mai stata davvero. Manca la maturità per realizzare la libertà, a cui si aggiunge l’abitudine e l’asfissia di una vita trascorsa nella paura». Di fronte a tanta palese diseguaglianza e ingiustizia gli angolani sono poco propensi alla protesta.
Sembra mancare un sano attivismo della società civile, almeno nella grande emancipata metropoli. Forse perché durante gli anni di dos Santos la repressione dei servizi segreti e la censura erano state spietate, come ricorda l’attivista Luaty Beirão, arrestato nel 2015: «Anche solo riunirsi per discutere era rischioso. I media erano completamente controllati e la polizia arrestava senza processo». Beirão, nonostante ciò, è ottimista e intravede dei miglioramenti nella libertà di espressione e di manifestazione dopo l’arrivo di JLo: «Stanno nascendo nuovo fermento e una consapevolezza civica. Abbiamo visto le prime manifestazioni di sindacati e maggiori incontri di dibattito e pluralismo nei media. Qualcosa si muove».
(Marco Simoncelli – foto di Marco Trovato, Marco Garofalo e Giulio Paletta)
Questo articolo è uscito sul numero 5/2020 della rivista. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.
ANGOLA Scheda del Paese
Popolazione 29,5 milioni (Italia, 60,4 milioni)
Superficie 1.246.700 km2 (4 volte l’Italia)
Densità 14 ab/km2 (Italia: 201)
Capitale Luanda (2,7 milioni)
Forma di governo Repubblica presidenziale
Capo dello Stato João Lourenço
Lingue Portoghese (uff.); kikongo, umbundu, kimbundu
Etnie bakongo, ovimbundu, ambundu, lunda, chokwe
Età media 61,5 anni (2016)
Religioni cattolici 56,4%, religioni tradizionali 4,4%, protestanti 13%, pentecostali 10%, musulmani 1,1%
Prodotti petrolio, diamanti, minerali, pesca, caffè, cotone, canna da zucchero
Valuta kwanza angolano
Povertà 36,6% sotto la soglia della povertà
Indice di sviluppo umano 0,581 (145°/189)