di Andrea Spinelli Barrile
L’Unione Europea ha pubblicato l’elenco delle sanzioni contro nove individui legati al Ruanda e al gruppo M23, tra cui militari e imprenditori del settore minerario. Il memorandum UE-Ruanda sui minerali critici è ora in bilico, mentre Kigali risponde interrompendo le relazioni diplomatiche con il Belgio.
È stato pubblicato sulla Gazzetta dell’Unione europea l’elenco delle sanzioni al Ruanda decise nella riunione dei ministri degli Esteri europei a Bruxelles. Le sanzioni sono personali e riguardano nove persone, quattro delle quali sono cittadini congolesi membri del gruppo M23.
Il nome che spicca su tutti gli altri è quello di Bertrand Bisimwa, che ai più non dirà nulla: secondo l’Unione europea è responsabile di gravi violazioni dei diritti umani e del perdurare del conflitto, dell’insicurezza e dell’instabilità nell’est della Repubblica democratica del Congo (Rdc). Gli altri sanzionati sono alcuni funzionari militari dell’M23 con il grado di colonnello, come Joseph Musanga Bahati, responsabile finanziario del movimento. Sono stati sanzionati cinque cittadini ruandesi, tra cui il capo del reclutamento dell’M23 e tre generali delle Forze di difesa ruandesi, tra cui Ruki Karusisi, ex comandante delle forze speciali dispiegate nella Rdc che è stato licenziato dal suo incarico sabato scorso. Tra gli altri sanzionati ci sono il cittadino ruandese Francis Kamanzi, a capo della società Rmb attiva nel settore minerario e degli idrocarburi, e l’azienda Gasabo gold refinery, un’azienda ruandese accusata dall’Unione europea di aver estratto e raffinato illegalmente oro in Congo, per poi esportarlo a Kigali.
Sul famoso memorandum firmato un anno fa tra Ue e Ruanda sulla catena del valore dei minerali critici, invece, ancora non c’è nulla se non un’implicita ammissione europea di aver fatto un errore a firmarlo. Finora la Commissione europea ha annunciato solo una revisione di questo memorandum, ma i 27 Paesi membri stanno ora cercando di porvi fine. Il memorandum era il tentativo europeo di garantirsi l’approvvigionamento di minerali critici (tungsteno, stagno, coltan, nichel in particolare) tramite un accordo bilaterale con il Ruanda, accordo che già al momento della firma era stato criticato perché di quei minerali, in territorio ruandese, non c’è traccia e la Rdc sostiene siano estratti illegalmente nel suo territorio e poi raffinati in Ruanda.
“Era importante che ci fosse una forza simbolica nelle sanzioni imposte: i responsabili delle aziende, in particolare quelle legate ai minerali”, ha dichiarato a Rfi il ministro degli esteri belga, Maxime Prevot, che ha aggiunto un ulteriore elemento di complessità alla vicenda del memorandum sui minerali: “Abbiamo sostenuto la sospensione del protocollo d’intesa con il Ruanda sui minerali preziosi e rari perché la persona che è il coordinatore principale è essa stessa colpita dalle sanzioni” ha detto riferendosi a Francis Kamanzi. “Ciò significa che non vi è più alcuna possibilità di garantire l’attuazione del presente protocollo d’intesa”.

Lunedì il Ruanda ha annunciato la fine di tutti i progetti di cooperazione con il Belgio e l’interruzione di ogni canale diplomatico, interrompendo le relazioni diplomatiche con l’ex-colone. Un gesto di sprezzo politico-diplomatico che non nasconde una certa sicurezza nei propri mezzi, almeno da parte di Kigali. Secondo i dati ufficiali del governo ruandese, nel 2023 il Ruanda ha ha esportato 2.070 tonnellate di coltan, un minerale essenziale per l’industria elettronica, presente in qualsiasi tipo di dispositivo elettronico esistente sul pianeta: significa che nel 2023 il Ruanda è stato il più grande esportatore mondiale di questo minerale, seguito in classifica dal suo acerrimo nemico, la Repubblica democratica del Congo: sommati insieme, tra il 2014 e il 2023 i due Paesi hanno esportato 32.702 tonnellate di coltan.
Secondo un rapporto di marzo 2022 di Enact, un’iniziativa transnazionale di lotta alla criminalità organizzata, “molte stazioni commerciali acquistano consapevolmente coltan da aree controllate da gruppi armati e sfruttano la distinzione tra loro e i commercianti per affermare di ignorare l’origine del minerale”. Inoltre “le compagnie internazionali poi trasportano il minerale direttamente nel Paese di destinazione o lo trasportano/esportano attraverso l’Uganda e il Ruanda verso impianti di trattamento all’estero”. Il documento, che si basa anche su indagini delle Nazioni Unite, evidenzia il Ruanda come la rotta preferita per il commercio illecito di coltan.
Kigali infatti non impone tasse sulle esportazioni di minerali e consente che i beni importati vengano rinominati come “Made in Rwanda” a condizione che vengano trasformati all’interno del paese con un valore aggiunto minimo del 30%. “È quindi probabile che la maggior parte del coltan esportato dal Ruanda provenga dalla Rdc”, conclude Enact. Il “clima imprenditoriale favorevole” è anche la motivazione chiave addotta dall’Unione Europea per giustificare la firma dell’accordo sui minerali critici proprio con il Ruanda.
In una dichiarazione, il movimento ribelle M23 ha denunciato le sanzioni imposte dall’Unione Europea ad alcuni dei suoi leader, affermando che hanno reso impossibili i negoziati previsti ieri a Luanda sotto gli auspici dell’Angola.