Succede a volte di voler entrare nella testa di un personaggio illustre, in qualche momento cruciale della sua vita, per capire o almeno sentire quali pensieri ed emozioni provava. Il grande autore di noir, lo scrittore algerino più tradotto in italiano, è penetrato nella mente di Gheddafi alle sue ultime ore di vita. Una finzione, ovviamente, ma finzione nutrita di informazioni reali, come quella fascinazione per Van Gogh cui l’autore propone una chiave interpretativa letteraria nell’ultima pagina.
Non è difficile immaginare questo romanzo portato su scena. In una tragedia shakespeariana, di cui già conosciamo l’epilogo e, tutto sommato, anche il protagonista. Perché in fondo Yasmina Khadra ci restituisce un «fratello Guida» della Rivoluzione senza troppe sorprese: corrisponde all’immagine che di lui ci eravamo fatta, di uomo abile e solitario, despotico ma con una sua “morale”, megalomane e diffidente, attratto dalle donne e narcisista, realmente l’unificatore di un Paese ma da troppo tempo distante dal suo popolo… «Temevo il tradimento nei miei palazzi, e invece mi coglie alla sprovvista nelle strade».
Una tragedia greca, in fondo, in cui il Gheddafi autentico trascolora nel prototipo del tiranno e del potere patologico. Anche se, come ha precisato l’autore intervistato da Domenico Quirico, è al mondo arabo che egli ha particolarmente pensato, venendo egli appunto da quel mondo e confidando – pur nel «pessimismo della ragione» (Khadra era ufficiale nell’Algeria delle stragi islamiste degli anni Novanta) – in un futuro democratico.
Sellerio, 2015, pp. 165, € 15,00