L’Unione europea e il Sahel, tra ambiguità, successi e fallimenti

di claudia
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di Céline Camoin

Come gli europei possono aiutare a stabilizzare il Sahel? Un webinar organizzato dalla European Council on Foreign relations – Africa nei giorni scorsi ha posto un interrogativo su questo tema. Punto di partenza l’amara constatazione di un sostanziale fallimento degli interventi militari, umanitari e di sviluppo che sono stati fatti negli ultimi dieci anni negli stati saheliani da parte dell’Unione europea.

È partito da un’amara constatazione, quella del “fallimento completo di un decennio di interventi militari, umanitari e di sviluppo negli stati saheliani di Mali, Burkina Faso e Niger” da parte dell’Unione europea, il webinar dello European Council on Foreign relations – Africa (EcfrAfrica), sul tema “Come gli europei possono aiutare a stabilizzare il Sahel?”, svoltosi nei giorni scorsi.

“Solo pochi anni fa, il Sahel è stato descritto come un laboratorio per una politica di risposta estera e di difesa coordinata”, ha sottolineato il primo relatore, Will Brown, ricercatore senior dell’Efcr, prima di parlare di fallimento, e di essere fermamente contestato dalla relatrice Emanuela del Re, rappresentante speciale dell’Ue per il Sahel. Del Re si è infatti detta contraria a questo tipo di giudizio drastico, “che non tiene conto dell’enorme effetto della nostra cooperazione allo sviluppo, del nostro dialogo continuo. Non ci rendiamo conto di quanta interlocuzione ci sia tra noi, Unione Europea e i Paesi del Sahel, e anche degli aiuti umanitari. Siamo il principale fornitore di aiuti umanitari a livello globale come Unione Europea. Sono orgogliosa di dirlo. E allo stesso tempo, siamo anche tra i principali fornitori di aiuti umanitari nel Sahel. (…)  Senza di noi sarebbe stato molto difficile per le comunità sopravvivere. E molti dei progressi che sono stati raggiunti nella qualità della vita delle comunità nel Sahel, che sono certamente dovuti alla nostra politica”.

Il punto d’incontro tra i due esperti sta probabilmente nel rilevare la disomogeneità di approccio all’interno dell’Ue. “L’approccio duro adottato da alcuni stati membri europei (nei confronti delle nuove giunte al potere, Ndr) non ha funzionato”, ha detto Will Brown. “Non ha servito gli interessi dell’Europa. Infatti, ha finito per intensificare i sentimenti di sospetto, rifiuto e risentimento tra le forze armate e le popolazioni locali. Penso anche che abbia lasciato il terreno aperto a tutti i tipi di poteri ostili che sono ostili agli interessi dell’Europa”, ha aggiunto, citando la Russia. “L’Europa non dovrebbe chiudere le sue ambasciate. Non dovrebbe tagliare gli aiuti allo sviluppo, le spese umanitarie. Invece, gli europei dovrebbero concentrarsi sulla stabilizzazione della crisi diplomatica e sul mantenimento delle competenze interne, delle reti di raccolta di informazioni, cercare di controbilanciare alcuni di questi poteri ostili nella regione e supportare silenziosamente ma gradualmente i progressi democratici e civici”.

“Quando parliamo del Sahel, parliamo di due fronti diversi. Un fronte è la dinamica interna dell’Unione Europea. E l’altro fronte è il Sahel stesso. Ma il vero problema è come armonizzare tutti questi elementi per creare una corretta efficacia della nostra strategia esistente che è stata definita nel 2021”, gli ha fatto eco Del Re, preannunciando tra l’altro prossime visite  ad Abidjan e Bamako, a Nouakchott, in Ciad, a N’Djamena e in altri posti nei prossimi due mesi.

“Certo, possiamo criticare il fatto che dal punto di vista della sicurezza, tutto è cambiato nel 2021 quando il Mali ha deciso di chiamare il Gruppo Wagner e abbiamo sospeso tutte le nostre missioni. Ma dal punto di vista della nostra relazione con i paesi del Sahel, probabilmente analisti e ricercatori non prestano troppa attenzione al fatto che siamo ancora il partner principale di ogni paese del Sahel. In Mali, ad esempio, nonostante tutta la crisi e tutti i problemi e, naturalmente, il dialogo difficile, abbiamo ancora un miliardo di euro in termini di cooperazione allo sviluppo in corso. E così negli altri Paesi”, ha aggiunto la rappresentante dell’Ue per il Sahel, assicurando che l’Unione Europea è e rimarrà impegnata nella regione.

La matassa da sbrogliare, è “come trattare con i Paesi che non rispettano l’ordine costituzionale” in un “clima difficile, consapevoli del fatto che ci sono enormi problemi di sicurezza, con la difficoltà di attivare il nostro supporto tale sicurezza”. “Restiamo dalla parte della popolazione. Ma per quanto riguarda la sicurezza, non possiamo attivare, ad esempio, gli strumenti che abbiamo a nostra disposizione (…). “Il fronte interno dell’Unione Europea si sta sforzando di combattere un equilibrio. Il vero problema, e qui arrivo alla necessità di fare analisi su questi aspetti, è qualcosa che voglio dire senza mezzi termini, perché ho trovato molte difficoltà in questo senso”, ovvero le reazioni sparse e diverse da parte dell’Unione Europea. A causa della “mancanza di leadership” a livello di Unione Europea, (…) l’Ue si rivela un attore non proattivo.

“Abbiamo molte relazioni bilaterali che sono molto più coerenti in termini di relazione degli stati membri dell’Unione Europea con i Paesi del Sahel, piuttosto che il famoso spirito del Team Europe dell’Unione Europea applicato in questa particolare regione. Questo è qualcosa che ho cercato di cambiare, ma è stato molto difficile per una serie di ragioni”, ha fatto sapere Emanuela del Re. “Ora scopriamo che, ad esempio, la Germania è un gigante nella regione, non si preoccupa delle opinioni dell’Unione Europea come organismo, non come gruppo di Stati membri, ma in base all’uso dei propri investimenti. Lo stesso con l’Italia che mantiene il suo piccolo contingente in Niger, e altri che stanno facendo lo stesso, prendendo le proprie decisioni. Alcuni, sfortunatamente, stanno chiudendo le ambasciate”. In generale, la presenza dell’Unione Europea a livello bilaterale è molto coerente. E ultimamente anche i nuovi arrivati ​​come l’Ungheria, dedicano un’attenzione importante nel Sahel.

Terzo interlocutore al webinar, tenutosi lunedì 21 ottobre, Tieman Coulibaly, ex ministro della Difesa e degli Esteri del Mali, ha riassunto così le posizioni, rafforzando l’idea di mancanza di coesione da parte dell’Ue. “Nonostante tutti gli sforzi reciproci, dell’Unione Europea e dei Paesi del Sahel, oggi c’è una sensazione di incompiutezza e persino di fallimento, perché nell’azione c’è stata poca coerenza tra gli europei. Si pensava spesso che il Sahel fosse un problema francese, perché molti degli Stati in questo spazio in questa zona sono ex colonie francesi. E vorrei essere smentito nel dire che a volte gli europei non solo hanno mancato di coerenza, ma a volte sono stati in opposizione e persino rivali nella condotta delle loro azioni nel Sahel e nell’Africa occidentale”.

Non ha contribuito a un risvolto positivo la “cattiva governance dei partner africani”, ha aggiunto Coulibaly. “Il punto è che oggi la situazione sta continuamente peggiorando. Oltre agli orrori attuali che possiamo vedere, sarebbe peggio se il Sahel continuasse a scivolare nella violenza (…) Porrà una sfida complessa all’intera regione. Tutti i Paesi del Golfo di Guinea sono preoccupati dal rischio di un aumento della violenza diffusa e dell’espansione del terrorismo. Ma soprattutto, dalla destabilizzazione politica. Notiamo che la ripresa dei colpi di Stato in Africa, nell’Africa occidentale, coincide con l’ascesa degli interessi della Russia. È arrivato il culmine di una forte campagna di disinformazione, iniziata molto tempo fa. Quelle operazioni sono organizzate e finanziate da alcune potenze che vogliono assumere un controllo duraturo sull’area del Sahel e su quella della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas).

“Naturalmente – ritiene l’ex ministro maliano –  la nostra regione tende a diventare il campo di scontro tra potenze, tenendo presente l’attuale crisi del multilateralismo. Penso che la posta in gioco sia alta per tutti noi. Tuttavia, penso che non ci debba essere spazio per l’ambiguità. È chiaro che oggi c’è un doppio standard nel trattare con quei nuovi regimi autoritari. Ma siamo positivi su questo. Non esiste pace e sicurezza senza giustizia e libertà”. 

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