Luoghi della memoria: il Pontificio Collegio Etiopico di Roma

di claudia

di Uouldelul Chelati Dirar

Comincia il nostro viaggio tra i luoghi e le istituzioni che hanno avuto un ruolo importante nella storia delle relazioni tra Italia e Africa. Oggi vi parliamo del Pontificio Collegio Etiopico, che si trova a Roma nei Giardini Vaticani.

Istituito nel 1929, il Pontificio Collegio Etiopico eredita una storia secolare che rimonta al XV secolo, rendendolo uno snodo fondamentale nelle relazioni culturali tra Europa e Africa, un luogo della memoria per eccellenza. Le sue origini risalgono al 1481, quando papa Sisto IV assegnò la chiesa di Santo Stefano Maggiore (poi detta “degli Abissini”) all’ospitalità dei pellegrini provenienti dagli altipiani etiopi ed eritrei. Già nel 1515 Leone X nominava il primo priore etiope, Abba Thomas, inaugurando una lunga serie di dotti animatori della vita spirituale e culturale dell’ostello. Gli ospiti svolsero un prezioso lavoro di mediazione culturale, facendo conoscere all’Europa la ricchezza della tradizione etiope e, a loro volta, filtrando elementi europei nel loro Paese.

I primi caratteri dell’alfabeto ge’ez furono coniati proprio lì, grazie alla collaborazione tra il religioso tedesco Johannes Potken e gli ospiti del Collegio, permettendo la stampa, nel 1513, del primo testo in lingua ge’ez, il Libro dei Salmi, seguito nel 1548 dai Vangeli. Nel 1919 Benedetto XV trasformò Santo Stefano in Collegio Pontificio, destinandolo ad accogliere i seminaristi eritrei ed etiopici che venivano a Roma a completare la loro formazione sacerdotale. Nel 1929 Pio XI fece edificare nei Giardini Vaticani una nuova sede, la cui prima pietra fu posata alla presenza di Abba Kidanemariam Kassa, che pochi mesi dopo divenne il primo vescovo africano della Chiesa cattolica.

In quegli anni particolarmente travagliati, segnati dall’ascesa del fascismo e da nefande imprese coloniali quali la guerra di Libia e l’invasione fascista dell’Etiopia, gli ospiti del Collegio svolsero un’opera complessa e pressoché sconosciuta di resistenza e di impegno culturale oltre che religioso. Protetti dall’immunità ecclesiastica, alcuni religiosi – tra cui il sopracitato Kidanemariam Kassa e Abba Teklemaryam Semharay – si impegnarono in una serrata battaglia con le autorità vaticane per protestare contro il razzismo e le discriminazioni vissute nel Collegio, rivendicando l’africanizzazione della Chiesa. In particolare, Teklemaryam Semharay, raffinato linguista e teologo, fu tra i principali oppositori della latinizzazione della liturgia, difendendo le specificità della tradizione ge’ez, radicata nella millenaria Chiesa ortodossa d’Etiopia.

Un altro ospite illustre del Collegio fu AbbaGhebreyesus Hailu, che in quegli anni compose la sua celebre novella L’ascaro, un capolavoro letterario e anche una critica durissima del colonialismo italiano. Poco studiata dagli storici e pressoché sconosciuta al grande pubblico, questa generazione di religiosi e intellettuali ha combattuto una battaglia apparentemente di nicchia, che aveva invece un grande valore politico di rivendicazione identitaria e culturale contro i tentativi delle gerarchie ecclesiastiche di appiattire nell’uniformità liturgica la ricchezza e la vivacità culturale di questi fedeli.

Questa forma di resistenza assume ancor più valore se si considera il contesto storico in sui si colloca, ovvero i decenni di affermazione di ideologie e visioni del mondo totalitarie e incentrate sull’idea di una presunta superiorità assoluta della tradizione culturale europea.

Foto di apertura: Anthony Pappone

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