Profezie che si autoavverano: tanto clamore per un allarme inconsistente rischia davvero di scoraggiare i vacanzieri…
Una tenue risalita degli sbarchi sulle nostre coste di persone in cerca di asilo, in tempi di covid-19, ha riattizzato pulsioni xenofobe mai del tutto sopite. Per la verità il governo ci aveva messo del suo, sotto Pasqua, dichiarando «non sicuri» i porti italiani: formalmente, per tutelare chi chiedeva di approdare, ma in realtà trovando un pretesto per non accogliere.
L’idea che gli stranieri (poveri) portino malattie è uno dei pregiudizi più radicati e ricorrenti. Già al tempo di ebola qualcuno si era precipitato a invocare la chiusura dei porti, ignorando o fingendo d’ignorare il divario temporale tra il rapido sviluppo della malattia e la lunga durata dei viaggi dei profughi.
Normalmente, come da anni ripete la Simm, Società italiana di medicina delle migrazioni, i migranti sono selezionati alla partenza dal punto di vista della salute: famiglie e comunità puntano sui più forti, in grado di affrontare i disagi dell’emigrazione, di trovare lavoro e di inviare rimesse. Quando si scappa da guerre e conflitti tribali la selezione può saltare, oppure le peripezie dei viaggi e il rischio Libia possono intaccare l’integrità fisica e psichica dei migranti. Ma non sono una buona ragione per negare l’accoglienza, anzi dovrebbe avvenire il contrario.
Ora qualche positivo asintomatico è effettivamente sbarcato, ma chi arriva dal mare è molto più identificato, controllato e monitorato di tutti gli altri viaggiatori. Infatti è stato esaminato e posto in quarantena. Uno Stato serio ma democratico dispone dei mezzi per contemperare tutela dell’igiene pubblica e salvaguardia del diritto di asilo.
Colpisce invece il contrasto tra le richieste di chiusura dei porti e gli appelli alla ripresa del turismo internazionale. Nella lista dei 13 Paesi ancora banditi non figurano gli Stati Uniti, che pure qualche problema col virus continuano ad averlo. È un doppiopesismo inaccettabile.
Qualcuno si oppone persino ad ospitare migranti in quarantena, com’è avvenuto in Calabria, ad Amantea. Paventando conseguenze per l’afflusso di turisti, non si accorgono di provocare la classica profezia che si autoavvera: tanto clamore per un allarme inconsistente rischia davvero di scoraggiare i vacanzieri. Viene da dire, parafrasando il proverbio: a forza di gridare al lupo, si fanno scappare le pecore. La xenofobia non fa male solo agli altri, ma presto o tardi si ritorce contro noi stessi.
Maurizio Ambrosini. Docente di Sociologia delle Migrazioni nell’Università degli Studi di Milano, insegna anche nell’Università di Nizza. È responsabile scientifico del Centro Studi Medì di Genova, dove dirige la rivista Mondi Migranti e la Scuola estiva di Sociologia delle migrazioni. Il suo ultimo libro è L’invasione immaginaria. L’immigrazione oltre i luoghi comuni (Laterza, 2020)