Madagascar, gli allevatori del mare

di claudia

di Céline Camoin

In Madagascar i pescatori Vezo hanno scoperto una nuova attività produttiva: l’allevamento dei cetrioli di mare. Anche i cetrioli di mare, cugini delle più eleganti stelle marine, svolgono preziose funzioni nell’habitat. E anche loro rischiano molto, specie a causa di cucine che li apprezzano troppo, come quelle orientali. In Madagascar, dietro impulso di una ong, si cerca ora di conciliare la risorsa economica che essi rappresentano con la loro preservazione

Ventosa, cosparsa di dune di sabbia bianca, la costa sud-occidentale dell’isola di Madagascar non è quella più turistica, ma è l’habitat naturale delle comunità di pescatori. Affacciata sul Canale del Mozambico, la zona non è nemmeno facilmente raggiungibile, a causa della scarsa rete stradale e infrastrutturale che caratterizza il Paese, immerso nell’Oceano Indiano. Il clima qui è secco, con ampi sbalzi di temperature, la terra arida, ma anche sottoposta a possibili fenomeni ciclonici violenti. Per questi motivi, gli abitanti per il loro sostentamento si sono naturalmente rivolti verso l’oceano e le sue risorse. È lì che si incontra il popolo vezo (pronunciare veiz), talora detto il popolo dei “signori del mare”, o ancora, dei “nomadi dell’oceano”.

«L’odore dei Vezo sta sulla nostra pelle come le squame a un pesce. Assieme ai polpi, agli squali e ai ricci, facciamo parte delle creature dell’oceano», afferma Christophe, protagonista di un documentario del regista e viaggiatore francese Patrick Profit.

In quel tratto del globo, come in altri angoli blu del pianeta, la biodiversità marina è messa a dura prova da cambiamenti climatici, pesca eccessiva o illecita, e inquinamento. Velondriake significa, nella lingua vezo, “vivere con il mare”. È anche il nome dato all’Area marina gestita localmente (Amgl) che confina con 32 villaggi del sud-ovest del Madagascar. Con il sostegno di un’organizzazione non governativa britannica, la Blue Ventures con sede a Bristol, i Vezo hanno imparato a organizzarsi in modo autonomo, provvedendo al proprio sostentamento e operando al contempo a favore della conservazione della fauna e della flora marina. Senza abbandonare la pesca, i Vezo, sia donne che uomini e giovani, continuano a lavorare piedi e mani in acqua per dedicarsi all’allevamento e alla raccolta dei cosiddetti “cetrioli di mare”, il nome comune degli oloturoidei o oloturie.

Difensori delle barriere coralline

Meno graziosi delle stelle marine, sono una classe di echinodermi diffusi sui fondali marini di tutto il mondo e caratterizzati da un corpo cilindrico allungato con bocca e ano situati alle estremità opposte. In Italia, la pesca o raccolta di oloturie è vietata dal 1° gennaio 2022. La raccolta incontrollata di questi naturali spazzini dei fondali sta mettendo a grave rischio non solo la biodiversità marina ma anche la salute di chi si ritrova a consumare esemplari potenzialmente dannosi per l’uomo.

Ma non è questo il caso in altri Paesi, dell’Asia in particolare, dove questi cilindri, freschi o essiccati, sono considerati autentiche prelibatezze e hanno un valore commerciale molto elevato. Alcune specie possono essere vendute a circa mille dollari al chilo. La preparazione del cetriolo di mare nella cucina cinese risale al XV secolo, sotto la dinastia dei Ming. Il piatto fu presentato all’imperatore Zhu Yvan-Zhang come raro e prezioso. Anche la medicina cinese ne fa uso, per alcune proprietà che vengono attribuite a questa creatura marina.

Il mercato cinese è uno degli sbocchi principali del commercio dei dinga-dinga, uno dei nomi dati dai malgasci ai cetrioli marini. Nelle apposite fattorie, le notti di luna piena o di nuova luna sono le più indicate per la raccolta a mano, sotto stretta sorveglianza in materia di accessi, autorizzazioni, e peso dell’animale, che non può essere commercializzato sotto i 400 grammi. Di giorno, i cilindri tendono a nascondersi sotto la sabbia ed è durante le ore diurne che occorre occuparsi della fondamentale pulizia e manutenzione dei recinti.

I dinga-dinga si nutrono filtrando la sabbia. Alcune specie sono in grado di pulire diverse centinaia di tonnellate di sabbia per chilometro quadrato all’anno. Quando non ci sono più cetrioli di mare, la barriera corallina è in cattive condizioni di salute: le alghe crescono e soffocano i coralli; gli animali marini fuggono. E i pescatori non trovano più molto da pescare.

Ricadute positive sulla comunità

L’area protetta preserva non solo la natura, ma anche l’incolumità dei pescatori, non più costretti a tuffarsi per ore in mare alla ricerca di queste creature sdraiate sui fondali. È vitale anche per l’ecosistema, mentre la coltivazione regolamentata dei cetrioli consente di evitare la pesca a oltranza, diffusa in altre parti del mondo. Diverse figure “professionali” sono sorte attorno a queste fattorie, tra cui quella degli “agenti di sicurezza”, incaricati di prevenire incursioni di potenziali ladri di animali, se non di denaro, presente in abbondanza nei villaggi subito dopo le vendite. Oltre agli allevatori ci sono i commercianti, che intervengono in vista della successiva esportazione.

I cetrioli di mare, come abbiamo capito, hanno un valore commerciale che consente alle popolazioni di avere una vita dignitosa. Più bambini vengono mandati a scuola, si procede a una migliore manutenzione delle case, si è sviluppata l’inclusione della maggioranza della comunità in un gruppo di risparmio. Nel 2007 è stato creato anche un programma sanitario per colmare il gap dell’accesso limitato ai servizi medici e di pianificazione familiare. Questo approccio persone-salute-ambiente, promosso dalla Blue Ventures, si basa su una visione circolare della sostenibilità, poiché una comunità di allevatori più sana sarà più efficace sul lavoro.

Il margine di crescita è ancora ampio, poiché la filiera non è ancora molto sviluppata in Madagascar: ogni anno nella grande Isola Rossa si producono circa 1.500 tonnellate di cetrioli di mare, quasi tutti vengono esportati perché la popolazione locale non li consuma. È inoltre un settore che può generare molte entrate per lo Stato, se il ministero competente saprà dimostrare maggiore interesse.

Questo articolo è uscito sul numero 3/2024 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.

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