Mai più schiavi, di Maria Tatsos

di AFRICA

La Mauritania «è l’unica realtà al mondo dove un musulmano sfrutta come schiavo un altro musulmano, un comportamento severamente vietato dal Corano. E gli imam tacciono o, peggio ancora, acconsentono e giustificano». Nel Paese dominato dai bidan (bianchi) arabo-berberi e dove gli haratin neri sono storicamente, e “tecnicamente”, schiavi, questa piaga venuta da tempi che dovrebbero essere consegnati alla storia è tuttora aperta. Nel 1981 fu ufficialmente abolita, ma si dovette aspettare il 2007 perché fossero contemplate delle sanzioni, peraltro mai applicate, e il 2015 per una legge che le inaspriva e inoltre bollava la schiavitù come «crimine contro l’umanità». La qual cosa non fu sufficiente a far uscire di galera Biram Dah Abeid, che stava scontando una pena di due anni per «appartenenza a un’organizzazione non riconosciuta». Questa era l’Iniziativa per la rinascita del movimento abolizionista (Ira Mauritanie) che lui stesso – nipote di nonna schiava ma nato libero – aveva creato nel 2008.

Quello della schiavitù in Mauritania è un tema periodicamente rilanciato da riviste specializzate o dai rapporti sui diritti umani, come quelli di Amnesty (la prefazione al libro è infatti del portavoce della sezione italiana, Riccardo Noury); mancava però un libro specifico come questo. Che si presenta anzitutto come una testimonianza: della vita di Biram e del suo impegno, decisamente improntato alla nonviolenza gandhiana, quindi condotto con mitezza ma con azioni anche di forte impatto, come il rogo di testi giuridici di una scuola islamica che giustifica “teologicamente” la schiavitù.

La sua Ira Mauritanie non è la prima organizzazione né l’unica a battersi per questa causa: esattamente quarant’anni fa cominciò El-Hor. Ma è quella che negli ultimi anni ha regalato alla problematica una maggiore risonanza internazionale. E che ha nel suo leader una figura di rilievo anche politico; candidatosi alla presidenza della repubblica nel 2014, in una lettera aperta dalla prigione diceva, all’epoca, di considerare «il regime di Mohamed Ould Abdel Aziz un governo fuorilegge, che veicolava la schiavitù. E lo avrei combattuto con la stessa determinazione, dentro o fuori dal carcere. Se fossi uscito, avrei lottato perché la Mauritania si sbarazzasse di un dittatore come Aziz». La Corte Suprema con un gesto di indipendenza liberò Biram prima del termine dei due anni di pena.

Quella di Biram non è una vita semplice (né lo è per i militanti della sua Iniziativa): fra tour all’estero, quando gli è consentito, grane di ogni genere in patria e lotte come quella contro il referendum costituzionale per l’abolizione del Senato, sospettato di voler spianare la strada alla reiterazione del mandato presidenziale.

Alle elezioni politiche del settembre 2018 – e qui siamo già fuori dal libro – il partito di governo ha riscosso la maggioranza assoluta, Biram è diventato comunque deputato. Questo, si noti, mentre si trovava nuovamente agli arresti (dal 7 agosto, e non si sa per quanto) per un capo d’accusa a dir poco bizzarro: «Aggressione volontaria alla vita e all’integrità altrui, incitamento all’aggressione volontaria alla vita e minaccia di violenza – spiega ad Africa l’autrice del libro –. L’arresto è scattato in seguito alla denuncia di un giornalista arabo-berbero che l’aveva intervistato. Il giornalista ha pubblicato un video su YouTube con stralci dell’intervista che hanno suscitato, a detta sua, il risentimento di Biram. Cosa sia poi accaduto dovranno appurarlo in tribunale, ma è alquanto strano che tutto questo sia accaduto alla vigilia della campagna elettorale».

Curiosa questa presunta aggressione, diretta o per interposta persona, da parte di un uomo che, precisa Maria Tatsos, «ha fatto della nonviolenza il suo verbo e ha vinto premi internazionali per la sua lotta pacifica» (tra questi ci limitiamo a menzionare il Premio Onu per i Diritti Umani). Il 2019 sarà l’anno delle presidenziali: Biram proverà a ricandidarsi; Abdel Aziz non si è ancora pronunciato chiaramente.

Tornando al libro, rimane da aggiungere che l’avvincente aspetto biografico è completato da una chiara contestualizzazione del fenomeno schiavitù nel Paese. Da segnalare, in particolare, l’ampia postfazione di Giuseppe Maimone dell’Università di Catania, che è una «breve storia della lotta alla schiavitù in Mauritania».

Paoline, 2018, pp. 205, € 16,00

(Pier Maria Mazzola)

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