di Angelo Ferrari
Le autorità di transizione del Mali spingono perché si acceleri la procedura per arrivare a un referendum per l’approvazione del testo della nuova Costituzione del paese. Il ministro dell’Amministrazione territoriale, Abdoulaye Maiga, ha invitato i partiti politici a esprimere un loro parere sul testo, una cui bozza preliminare è stata presentata l’11 ottobre al presidente di transizione de Mali, il golpista Aissimi Goita e lo scorso dicembre, il 19, con un decreto presidenziale, è stata istituita una commissione per la messa a punto del progetto costituzionale, ma i suoi membri non sono ancora stati nominati. Il referendum, inoltre, dovrebbe tenersi nel mese di marzo.
Il paese, però – alle prese con una recrudescenza del terrorismo jihadista – è diviso proprio sulla necessità di mettere mano alla Carta fondativa del paese. Inoltre, sono molti i partiti che ritengono che non vi sia il “clima” giusto per arrivare a un referendum a cui molta parte della popolazione non potrebbe partecipare perché risiede in aree occupate dai terroristi. Altre critiche, invece, riguardano proprio la legittimità delle autorità di transizione che non avrebbero l’autorità per riformare la Costituzione.
Il nuovo progetto costituzionale pone l’accento sull’unità dello Stato maliano, il suo carattere laico, sulla creazione di un Alto Consiglio della Nazione – l’equivalente di un Senato – e il rafforzamento del ruolo e dei poteri del presidente. Per ragionare di tutto questo il ministro Maiga aveva, nei giorni scorsi, indetto una riunione che avrebbe dovuto vedere la partecipazione dei partiti. Riunione, tuttavia, che è andata praticamente deserta: dei 281 partiti politici cui il governo aveva chiesto suggerimenti, solo 50 hanno risposto all’appello. I partiti più radicalmente contrari all’adozione di una nuova costituzione, e che chiedono l’abbandono di questo “insensato” progetto, hanno boicottato l’incontro e sono la stragrande maggioranza.
Tra coloro che, invece, hanno accettato di discuterne c’è il presidente dell’Unione per la salvaguardia della Repubblica (Usr), Nouhoum Togo, che sostiene le autorità maliane e auspica una rapida messa a punto del testo. “Il ministro ci ha assicurato che il lavoro si sta facendo con molta responsabilità – ha spiegato Togo -. La questione è risolta, non si tratta di tornarci: si va a referendum”. C’è chi, invece, pur avendo partecipato alla riunione esprime forti riserve, In particolare il presidente del partito Ylema, Youssof Diawara, secondo il quale il paese è in “un vicolo cieco, in un contesto di insicurezza, dove parte del territorio è occupato e tutti i cittadini non hanno la possibilità di esprimersi”. E Diawara si chiede se il contesto si presta a un referendum e in particolare alla revisione del testo costituzionale.
I partiti politici, almeno quelli che hanno partecipato al dibattito voluto dalle autorità di transizione, si sono divisi tra favorevoli e contrari al principio di laicità, sulle prerogative del presidente e il rafforzamento del suo potere, ma anche sull’articolo che definisce le lingue nazionali.
L’opposizione, almeno quel che ne resta in un regime militare, respinge con decisione il progetto di revisione costituzionale, alcuni in maniera radicale altri, pur criticandolo, non si sottraggono al dialogo.
I più radicali sono i partiti dell’alleanza Jigiya Kura, di cui Alhassane Abba ne è il segretario generale: “Il tempo (prima della fine del periodo di transizione, ndr) non consente di andare verso una nuova Costituzione. Né il tempo né la legge: l’attuale Carta indica i meccanismi per la sua revisione. Le autorità attuali non hanno nemmeno la legittimità per approfondire questa questione: la Costituzione è sacra, per rivederla ci vuole un presidente eletto e un’Assemblea eletta”. A schierarsi contro questo progetto anche il Coordinamento dei Movimenti, delle Associazione e dei Simpatizzanti (Cmas) che fa capo al potentissimo imam Mahmoud Dicko. Con un comunicato il Cmas ha fatto sapere che le autorità di transizione non hanno la legittimità di modificare la Costituzione e che, comunque, non sia il testo fondamentale a essere alla radice dei problemi del Mali.
Il problema maggiore, infatti, è la forte presenza di gruppi jihadisti che il governo di transizione non riesce a fronteggiare. Le azioni terroristiche si stanno sempre più intensificando. Secondo uno studio pubblicato dall’Africa center for strategic studies (organizzazione statunitense) la violenza dei gruppi islamisti sta accelerando, in particolare con l’insurrezione nel nord, nel centro e sempre più a sud e sta minacciando la stessa stabilità del paese. Sempre secondo lo studio, la violenza degli estremisti è peggiorata in tutto il paese, soprattutto dopo il colpo di sato militare e la situazione della sicurezza non è mai stata così critica. Le vittime legate alla violenza dei militanti islamisti nel 2022 hanno superato quelle di qualsiasi anno precedente e gli analisti dell’Africa center for stategic studies prevedono un ulteriore inasprimento. A farne maggiormente le spese, come in ogni guerra, sono i civili: i jihadisti hanno ucciso il triplo delle persone nel 2022 rispetto al 2021.