Saranno liberati “gradualmente” gli ormai ex presidente ed ex primo ministro della transizione del Mali, Bah N’Daw e Moctar Ouane, di cui sono state ufficializzate le dimissioni ieri pomeriggio, dopo il colpo di mano dei capi militari coinvolti nella transizione. Lo ha detto ieri alla stampa nel tardo pomeriggio il comandante Baba Cissé, consigliere speciale del vicepresidente, il colonnello Assimi Goita, l’ormai capo dello Stato. Prelevati lunedì dalle proprie residenze dopo l’annuncio della composizione di un nuovo governo, N’Daw e Ouane sono da allora trattenuti presso la caserma militare di Kati. Cissé ha precisato che “le dimissioni” dei due leader istituzionali “fanno seguito a una serie di disfunzionamenti che hanno ostacolato il buon andamento della transizione. C’erano profonde divergenze sia sul fondo che sulla forma della transizione”. Cissé ha precisato le dimissioni sono state rassegnate davanti a Goodluck Jonathan, l’ex presidente nigeriano mediatore dallo scorso agosto nella crisi per conto della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas/Cedeao), facendo capire che l’organismo regionale avrebbe tacitamente accettato gli ultimi sviluppi.
“Il vicepresidente della transizione ha fatto tutto il possibile per evitare di arrivare a questo punto, ma in quanto soldato, non poteva che riaffermare la sua posizione di figlio del Paese e di garante della stabilità” ha detto Cissé. Goita, ha aggiunto il consigliere, aveva l’ambizione di far fare un audit della legge d’orientamento e di programmazione militaire, ma è stato ostacolato. Inoltre “il presidente (N’Daw) si era opposto all’arresto di alcuni responsabili coinvolti nella cattiva gestione finanziaria e militare del regime. Se si fosse raggiunto un accordo con le forze sociali che hanno organizzato uno sciopero nazionale, non saremo arrivati a questa situazione. Senza dimenticare le difficoltà per l’organizzazione delle elezioni. Qualcuno doveva assumere le proprie responsabilità e porre fine” a questa crisi, ha spiegato. L’Untm, il principale sindacato nazionale, all’origine dello sciopero, “è venuto di sua iniziativa, in una visita di cortesia, per congratulare il vicepresidente”, segno che in Mali quello che è stato definito un “golpe nel golpe” è accettato da una parte dell’opinione pubblica.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, riunitosi ieri in urgenza sulla situazione in Mali, ha condannato “fermamente l’arresto del presidente di transizione Bah N’Daw e di altri funzionari da parte di elementi delle forze di difesa e sicurezza”. Il Consiglio ha chiesto il rilascio sicuro, immediato e incondizionato di tutti i responsabili detenuti e ha esortato i militari tornare nelle caserme senza indugio. Gli ambasciatori hanno inoltre ribadito il loro sostegno alla transizione a guida civile in Mali e ne hanno chiesto l’immediata ripresa, che porti alle elezioni e all’ordine costituzionale entro il termine stabilito di 18 mesi concordato dopo il colpo di stato dello scorso anno.
L’iniziativa dei militari, guidata dei golpisti che lo scorso 18 agosto hanno costretto alle dimissioni l’allora presidente Ibrahim Boubacar Keita e il suo primo ministro Boubou Cissé, è stata condannata fermamente anche dall’Unione africana, dall’Organizzazione della francofonia, e da governi come la Francia – ex potenza colonizzatrice ancora molto presente in Mali, soprattutto con i militari dell’operazione Barkhane – e l’Algeria, che ha sostenuto il processo di pace interno con le ribellioni tuareg e arabe fino agli accordi del 2015. Anche Washington ha condannato gli arresti dei leader della transizione e ha annunciato la sospensione dell’aiuto alle forze di difesa e di sicurezza del Mali.
Ieri, un gruppo di maliani si è radunato davanti all’ambasciata della Russia, chiedendo ai diplomatici di Mosca un aiuto e l’arrivo di truppe russe in Mali, la minaccia e la violenza dei gruppi jihadisti è fonte di grave insicurezza dal 2012.
(Céline Camoin)