È l’uomo che fa tremare il palazzo presidenziale di Bamako, ma non è un ribelle, né un militare, nemmeno un leader politico. È un uomo di fede, l’imam Mahmoud Dicko, il personaggio imprescindibile della crisi in atto in Mali.
Leader religioso appartenente alla corrente rigorista del wahhabismo saudita, l’imam Dicko ha chiarito in passato che non è interessato a entrare in politica. Eppure, è soprattutto lui a far muovere le folle ed è anche a lui che i mediatori africani si rivolgono per tentare di placare la tensione tra gli schieramenti. Nel settembre 2019, poco dopo aver concluso un decennio di presidenza dell’Alto consiglio islamico, ha persino lanciato una piattaforma, battezzata il Coordinamento dei movimenti, associazioni e simpatizzanti dell’imam Dicko (Cmas). Un embrione di partito politico, in cui un suo fedele, Issa Kaou N’Djim, potrebbe diventare la pedina politica della guida religiosa. «I religiosi e i politici sono complementari», afferma, d’altronde, Dicko.
Se la sua popolarità mediatica è salita in maniera esponenziale in questo 2020, anche grazie ai social network, Dicko è da tempo una personalità influente in Mali, nazione laica con una grande maggioranza di musulmani moderati. L’imam è noto per aver spesso denunciato gli errori dei politici, le loro derive, la cattiva gestione, le ingiustizie e le sofferenze della popolazione. Ex sostenitore dell’attuale presidente Ibrahim Boubacar Keita (comunemente soprannominato Ibk), il capo religioso ha raggiunto lo schieramento dei delusi, diventando volto e parola del “Movimento 5 giugno – Raggruppamento delle forze patriottiche” (M5-Rfp), piattaforma eteroclita raggruppatasi nelle manifestazioni di piazza innescate a partire dal 5 giugno scorso.
Alle proteste ha preso parte in prima linea il Cmas, accanto al Fronte per la salvaguardia della democrazia (Fsd), la coalizione fondata nel 2018 attorno al capofila dell’opposizione Soumaila Cissé – sequestrato in piena campagna elettorale il 25 marzo e tuttora scomparso – al Movimento speranza Mali Koura (Emk) di Cheikh Oumar Sissoko, a leader politici come Oumar Mariko o Choguel Kokalla Maiga, presidente del consiglio strategico del M5 giugno. «Ibk, fuori» è la parola d’ordine del M5-Rfp, ma per i mediatori della Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao), l’estromissione del presidente è assolutamente fuori discussione. Una posizione che è valsa all’organizzazione regionale l’ironico soprannome di “sindacato del presidente”.
Dicko è l’uomo che farà pendere l’ago della bilancia? Non è molto chiaro. Jean-Claude Kassi Brou, presidente della commissione della Cedeao, aveva riferito al termine di quattro giorni di negoziati, il 19 giugno, che il capo religioso era d’accordo a grandi linee sul piano proposto. Un piano che prevede in sostanza un nuovo governo d’unità nazionale aperto a opposizione e a società civile, la sostituzione di 31 parlamentari contestati e una nuova corte costituzionale. Alcune voci parlano di una possibile divisione all’interno del Movimento 5 giugno, tra un’ala che accetterebbe che Ibk rimanesse in carica, di cui farebbe parte Dicko, e un’ala più intransigente. Ma sulla pagina Facebook del Cmas, Dicko invita ancora i maliani a «battersi per il proprio onore e la propria dignità». Scrive alla Cedeao che «le minacce non funzioneranno», riferendosi a possibili sanzioni contro chiunque ostacolerà il piano d’uscita dalla crisi. «Il mondo ci lasci la libertà di pensare, che non ci venga imposto nulla» scrive ancora l’imam in uno dei suoi numerosi post. Nei suoi messaggi, si rivolge anche alla Francia, chiedendo a Parigi di rispettare la sovranità del Paese.
In passato, Dicko ha già vinto diverse battaglie. Nel 2009, quella contro i legislatori, che volevano introdurre un codice della famiglia più progressista. «È contrario all’Islam e alle realtà culturali e sociali del Mali» argomentava Dicko. Il testo avrebbe concesso più spazio alle donne, come essere (insieme ai figli) la principale ereditiera in caso di morte del marito, di avere il diritto di poter scegliere il domicilio, e di dover provvedere ai bisogni della famiglia allo stesso titolo del marito, se ne avesse avuto la possibilità. Troppo vicino alla società occidentale, troppo lontano dalla tradizione islamica.
Anche nel 2019 Dicko aveva organizzato, sempre insieme a esponenti politici e ad altri religiosi, grandi manifestazioni, fino ad ottenere le dimissioni dell’allora primo ministro Soumeylou Boubeye Maiga, accusato di malgoverno e di cattiva gestione della crisi legata alla sicurezza nel centro e nel nord del Paese.
L’insicurezza di cui si parla è in gran parte quella fomentata dai gruppi terroristi islamisti jihadisti infiltrati in Mali, e con i quali l’imam Dicko vuole favorire un dialogo. Mano tesa o compiacenza? Fonti locali più distanti dal movimento di protesta ricordano che Dicko ha avuto affinità con la setta Dawa e con il leader di Ansar Din, Iyad ag Ghali. C’è chi guarda con sospetto l’ascesa di questo religioso radicale, temendo che in futuro il Mali possa scivolare verso l’imposizione della legge coranica e del califfato.
(Céline Camoin)