Quest’anno sono vent’anni esatti dalla morte di uno dei grandi innovatori del cinema africano: il senegalese Djibril Diop Mambéty. E in Italia qualcuno sta lavorando alla realizzazione di un volume che ne ricostruisce la vicenda artistica e umana. Mambéty, o il viaggio della iena, a cura di Simona Cella e Cinzia Quadrati, con la collaborazione di Alessandra Speciale, la prefazione di Martin Scorsese e il sostegno del Festival del Cinema Africano d’Asia e America Latina e la Cineteca di Bologna, vedrà la luce grazie a un progetto di crowfunding e sarà un libro importante. Uscirà contestualmente per due case editrici, distinte e gemelle: l‘Harmattan France e l’Harmattan Italia.
Come Corriere delle Migrazioni – Africa abbiamo deciso di dare il nostro contributo al progetto e di scriverne per (almeno) due buone ragioni.
La prima è il film Touki Bouki, appena restaurato dalla Cineteca di Bologna, che uscì nelle sale nel 1973 e valse al giovane regista il paragone con il Jean Luc Godard di Pierrot le fou. Touki Bouki in wolof vuol dire “il viaggio della iena”. Racconta la storia di Mory e Anta, che giorovagano per il Senegal, a bordo di una moto adornata con gigantesche corna di zebu (immagine che – per la cronaca – ha inspirato Jay -Z e Beyoncé nella campagna per la promozione del loro ultimo tour) alla ricerca dei soldi necessari per tentare di raggiungere l’Europa. Si tratta di un lungometraggio che si presta a molteplici letture: esperimento d’avanguardia, atto di ribellione rispetto al miraggio dell’Eldorado Occidente (alla fine Mory decide di non partire), affresco quasi profetico e ricco di elementi autobiografici sul fenomeno delle migrazioni cosiddette irregolari. Infatti lo stesso Diop Mambéty aveva provato a imbarcarsi poco tempo prima su una nave diretta a Marsiglia, ma era stato immediatamente espulso.
C’è poi, però, una seconda motivazione, che potremmo definire più strutturale e funzionale a un efficace discorso interculturale e antirazzista. Ai primi d’ottobre, come forse qualcuno saprà, sono state pubblicate le linee guida aggiornate al 2018 per l’applicazione della Carta di Roma, documento redatto in collaborazione tra Ordine e sindacato dei giornalisti con un’intenzione nobile e chiara: contrastare svarioni e sproloqui terminologici quando ci si occupa di migrazioni e dintorni. La Carta di Roma, con le sue precisazioni sostanziali e il suo glossario politicamente corretto, è uno strumento senz’altro utile per non sbagliare e riconoscere contenuti approssimativi e fuorvianti.
L’esperienza però ci fa dire che l’attenzione alla forma è sì necessaria ma non sufficiente. Per sottrarsi alle trappole delle narrazioni razziste e/o paternaliste, infatti, è importante oggi più che mai avere idee fondate sulle realtà da cui provengono i migranti, e non solo dal punto di vista dei fatti politici o dei prodotti interni lordi. Per (ri)scoprire l’umanità delle persone conta moltissimo lo sfondo sociale, artistico e culturale in cui le andiamo a porre: sapere cosa e quanto di valido e intellettualmente stimolante venga prodotto anche in quei paesi che presumiamo lontani; prestare attenzione a quel che hanno da dire i loro intellettuali su temi scottanti e attuali; uscire – nel caso dell’Africa – dal cliché tamburi- gonnellino di paglia. guere tribali. E anche da questo punto di vista un volume come Mambety, o il viaggio della iena offre una visione differente: costringe il lettore a uscire dalla sua comfort zone per lasciarsi sorprendere dall’Africa che non ci raccontano, fatta di ricerca intellettuale e creativa, racconto corale, abilità tecnologica. La deumanizzazione, che è il corollario di ogni discriminazione razzista, a queste condizioni diventa molto meno ovvia.
La campagna di crowfunding finisce il 17 novembre. La sera prima, a Milano, alla Cascina Casottello, si terrà una sorta di festa di chiusura, con la proiezione di le Franc, uno degli ultimi lavori di Diop Mambéty. Partecipare alla serata sarà un’occasione per aggiungere una nuova tessera al proprio mosaico di conoscenze. Sostenere il progetto vuol dire, invece, contribuire utilmente ad accorciare le distanze con l’Africa.
(Stefania Ragusa)