Oggi ricorrono i 60 anni della strage di Marcinelle. Nella miniera belga, l’8 agosto 1956, morirono 262 minatori di dodici nazionalità diverse. La maggioranza (136) era italiana, ma c’erano anche belgi, polacchi, greci, tedeschi, ungheresi, francesi, russi, ucraini, francesi, olandesi e britannici. Tra i morti anche tre algerini. Al di là della ricostruzione delle cause che portarono alla strage (un incendio innescato da una scintilla), quella di Marcinelle è una ricorrenza che non possiamo dimenticare per molti motivi.
Innanzi tutto la maggior parte delle vittime era immigrata. Lavoratori che dovettero lasciare i loro Paesi per guadagnarsi un pezzo di pane. Moltissimi degli italiani erano abruzzesi che provenivano da aree poverissime dell’Italia. Un’Italia che non aveva ancora conosciuto (o aveva conosciuto solo in parte) i benefici del boom economico ed era costretta, come nei decenni precedenti, a cercare fortuna all’estero. In questo non possiamo non leggere analogie con le migliaia di immigrati che lasciano Africa, Asia e America latina per tentare la sorte in Europa e in America del Nord. E, oggi come allora, questi immigrati rischiano la vita. Negli anni Cinquanta si moriva nelle miniere, ai nostri giorni si muore nei deserti e in mare.
Marcinelle però ci parla anche di sfruttamento. I minatori erano arrivati nel Nord Europa grazie a un accordo tra i Governi di Roma e di Bruxelles in base al quale l’Italia forniva al Belgio manodopera a buon mercato e il Belgio garantiva all’Italia carbone a basso costo. Un accordo che veniva incontro alle esigenze delle due nazioni. Una, che aveva bisogno di materie prime per alimentare la propria industria in crescita. L’altra, che voleva guadagnare sfruttando le proprie miniere.
Tutto ciò però veniva fatto sulla pelle degli uomini. Nel 1956 fra i 142mila minatori impiegati in Belgio, 63mila erano stranieri e fra questi 44mila erano italiani. Gli immigrati erano alloggiati in campi di fortuna. Le misure di sicurezza erano scarse. Gli uomini erano considerati solo come braccia. Ciò che contava era l’estrazione del carbone. Non siamo molto lontani dalle condizioni in cui tanti immigrati sono costretti, anche in Italia, a lavorare ai nostri giorni. Pensiamo ai muratori immigrati che lavorano in nero, senza misure di sicurezza e con paghe da fame nei cantieri delle nostre città. O a quelli che sono impegnati nelle ditte di facchinaggio, sempre in nero, sempre senza misure di sicurezza.
L’unica cosa che contava, oggi come allora, è la produzione. A ogni costo. Anche della vita. E così arrivò la strage. E così arriva lo stillicidio di morti quotidiani. Marcinelle è quindi una tragica ricorrenza che insegna ancora molto a chi vuole leggerla con occhi attenti.