Mario Giro ▸ Tra Italia e Francia, la “ong” dei montanari

di Pier Maria Mazzola

Il disgelo comincia a restituire i corpi di chi non ce l’ha fatta. Intanto, una rete di gente semplice ed “europea” continua a prodigarsi, di qua e di là dal confine alpino, in favore degli africani, sfidando senza rumore i “gendarmes”. Sono persone che «preservano il senso di umanità antico come quelle montagne, come il nostro mare».

Colle della Scala, frontiera italo-francese sulle Alpi. Da una parte Bardonecchia, dall’altra Névache. Tra i due borghi di montagna tanti sentieri, battuti dai turisti e sciatori ma anche da migranti. La primavera avanza e la neve si scioglie. La montagna restituisce poveri resti e oggetti: scarpe, vestiti, cartine: roba di un altro continente. Sono le povere cose dei migranti che hanno tentato la traversata verso la Francia. Ma c’è di peggio. Il 25 maggio sul lato italiano la macabra scoperta: un corpo senza vita in un anfratto, trovato da un cacciatore. Nessun documento, nessuna traccia. Dal lato francese invece il disgelo porta alla superficie due corpi. Qui si trovano i documenti che permettono di risalire ai nomi: il senegalese Mamadou Alpha Diallo e la nigeriana Blessing Matthew di 21 anni.

Tre vittime del freddo e del gelo. I volontari delle associazioni dicono che spesso hanno provato a far desistere chi passava da lì, in particolare gli africani che tentavano la via della montagna. Non basta aver attraversato il deserto del Sahara e il Mar Mediterraneo per riuscire. La montagna è un’altra cosa. Ma non serviva a granché. Si è trovato un compagno di avventura di Mamadou che ha raccontato la loro storia: «Dopo tre giorni era sfinito ed è caduto da una roccia». Aggiunge solo che Mamadou aveva detto di voler andare in Spagna. Il corpo di Blessing è sfigurato per essere passato tra i filtri della diga sul torrente Durance, uno di quei violenti corsi di montagna. Probabilmente è caduta nelle acque gelide che l’hanno trascinata. Aveva già attraversato la frontiera: era stata vista nel rifugio Chez Jésus a Clavière. Ma continuava la via dei monti per non farsi prendere dalla Gendarmerie e rimandare indietro. Ha la madre in Nigeria e una sorella residente legalmente in Italia, che ora ne sta recuperando il corpo.

Al di là delle polemiche, subito scoppiate tra chi è contro la militarizzazione delle frontiere e chi sostiene che tenerle aperte provocherebbe ancor più vittime, resta il fatto che la montagna in questi mesi sta restituendo corpi. Quanti se ne troveranno? Quanti saranno ancora lì sotto, vite perdute tra la neve nel tentativo di realizzare il proprio sogno?

Mentre ancora si polemizza sulle “ong del mare” e sul loro diritto a salvare vite in acqua, mentre la Aquarius naviga verso la Spagna, attorno alla frontiera alpina italo-francese si sono organizzate molte associazioni che aiutano chi vuole attraversarla. D’estate è facile ma la vigilanza è pesante. Un po’ come a Ventimiglia: i francesi ti rimandano subito indietro. Per pensare di avercela fatta devi allontanarti molte centinaia di chilometri dall’Italia. Ogni sospetto preso in zona è respinto dai gendarmes verso il nostro Paese, anche se non ci sono prove che sia arrivato da qui. D’inverno l’azione di controllo è più complicata ma la morte sempre in agguato.

Su quelle Alpi ci sono molti cittadini francesi che non la pensano come il loro governo: danno passaggi, accolgono, nascondono, aiutano, accompagnano. Alcuni hanno anche sfidato il giudice. Addirittura dei sindaci di paesini si prestano all’opera di accoglienza “clandestina”. Sembra di essere tornati ai tempi della seconda guerra mondiale quando i passeurs rappresentavano la vita e non venivano descritti da trafficanti come accade oggi. Sul versante italiano c’è un simile coordinamento di paesani e associazioni. Tra i due lati, dei cittadini italiani e francesi (europei dunque) collaborano contro il parere delle rispettive autorità. Hanno un’altra idea di ciò che significa accogliere ed integrare. Non si tratta di gente speciale, altamente politicizzata, di ong con campagne di fund raising, di estremisti umanitari o di No Tav. Tutti costoro hanno sempre bisogno di strutture, di comunicazione, di organizzazione. E si fanno sentire.

In questo caso si tratta per lo più di gente semplice, che sfugge ogni tipo di pubblicità, gente di montagna dalle poche parole ma che trova normale aiutare. Come i pescatori di Lampedusa così i montanari delle Alpi Marittime: la vita prima di tutto. Non saranno politicamente corretti, non risolveranno il problema-migrazione ma certamente preservano il senso di umanità antico come quelle montagne, come il nostro mare.


Mario Giro è docente di relazioni internazionali. Già viceministro degli Affari esteri e responsabile delle relazioni internazionali della Comunità di Sant’Egidio. Esperto in mediazioni e facilitazioni nei conflitti armati, cooperazione internazionale e sviluppo, Africa, Medio Oriente e America Latina. Autore di vari saggi e collaboratore di numerose riviste, ha recentemente pubblicato per Mondadori La globalizzazione difficile.

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