Gli orridi attentati in Sri Lanka hanno colpito ancora una volta i cristiani in preghiera, e ancora una volta durante un giorno di festa come la Pasqua, assieme ai turisti. Era già accaduto in Egitto, in Pakistan, in Nigeria e altrove, sempre durante le feste religiose più importanti. Perché attaccare questo paese? Lo Sri Lanka è un obiettivo multireligioso: buddhisti, hindu, musulmani e cristiani vi convivono da sempre. Una convivenza difficile, sulla quale in passato hanno proliferato movimenti terroristici endogeni come le Tigri Tamil, che non erano un movimento estremista religioso ma sfruttavano la dicotomia tra cingalesi buddhisti e tamil hindu o cristiani. In tali fratture, viste le persistenti tensioni e la lentezza del risanamento delle ferite del passato, si inseriscono oggi gli attuali terroristi, che paiono essere di derivazione jihadista. Malgrado le sue fragilità la convivenza in Sri Lanka è un fatto reale: si pensi solo alla chiesa di Sant’Antonio vilmente attaccata, dove la statua del santo è venerata anche dai non cristiani.
Di conseguenza possiamo dire che il terrorismo prende di mira la convivenza tra religioni e culture diverse, cioè il tessuto multireligioso che esso aborre. Allo stesso modo attacca il turismo che rappresenta (almeno ai suoi occhi) una forma di convivenza transitoria, ma pur sempre pericolosa. Costoro vaneggiano un mondo omologato tutto uguale, secondo un’interpretazione globalizzata dell’islam, sradicato dalle culture e divenuto prodotto ideologico e arma da guerra.
Costoro odiano la storia con le sue mescolanze e promiscuità: nei loro incubi immaginano un mondo tutto identico, un mondo impossibile, inesistente. Sono destinati a perdere, ovviamente, perché la loro visione mostruosa del mondo e degli uomini è aliena alla storia umana. Tuttavia in un universo composito e complesso com’è l’Asia, continente pieno di credenze e religioni diverse, sulla breve il loro impatto può apparire devastante. Incunearsi nelle fratture, nelle divisioni e nelle differenze, può ottenere la destabilizzazione di intere aree. La logica del nemico e la paura faranno il resto: le comunità si separano spaventate, e iniziano a non fidarsi più l’una dell’altra. Il risultato è drammatico.
Rompere fragili equilibri e tessuto socio-religiosi delicati è sempre molto facile. È anche facile attaccare chi prega, soprattutto i cristiani. Nelle chiese si entra liberamente ovunque nel mondo, senza alcun tipo di controllo, nemmeno quello dell’uniformità dei vestiti. Già non è così nelle moschee. Il ministro degli Esteri britannico ha rilasciato un video in cui si parla di persecuzione globale dei cristiani. Un gesto raro per le autorità britanniche.
È certo che, da religione globale, il cristianesimo appare la vittima perfetta per il fanatismo jihadista: i cristiani stanno dovunque (anche più dei musulmani) e sono la vera religione universale. In specie il cattolicesimo, con la sua struttura gerarchica e articolata, rappresenta l’unica «internazionale» religiosa nel mondo: infatti il suo capo – il Papa – è riconosciuto da tutti come la figura religiosa globale più importante. Per queste ragioni gli eventi di Abu Dhabi, dove il grande Imam al Tayyeb di al-Azhar ha firmato con papa Francesco il patto di fratellanza, sono così importanti: dimostrando che le religioni sono per la pace, rappresentano un messaggio opposto a quello del jihadismo, espresso nello stesso linguaggio religioso, cioè strappandone ai jihadisti il monopolio, anche in termini simbolici.
Mario Giro è docente di relazioni internazionali. Già viceministro degli Affari esteri e responsabile delle relazioni internazionali della Comunità di Sant’Egidio. Esperto in mediazioni e facilitazioni nei conflitti armati, cooperazione internazionale e sviluppo, Africa, Medio Oriente e America Latina. Autore di vari saggi e collaboratore di numerose riviste, ha recentemente pubblicato per Mondadori La globalizzazione difficile.