Mario Giro ▸ Vocazioni a imam: Africa su, Francia giù

di Pier Maria Mazzola

Per promuovere un islam tradizionale e moderato, da anni lo Stato marocchino si occupa della formazione di imam e predicatori africani nonché francesi. Se sul versante subsahariano le vocazioni abbondano, i candidati dalla Francia – donne comprese – non arrivano a colmare i posti loro riservati.

Ero proprio a Bamako nel febbraio del 2014 quando Mohammed VI, re del Marocco, stava visitando il Mali. Primo viaggio di un sovrano marocchino nel Paese saheliano, quella visita era durata alcuni giorni e fatto molto rumore sui media internazionali. L’entusiasmo dei maliani era al colmo: avendo lasciato la macchina nei pressi della Grande Moschea dove il sovrano avrebbe diretto la preghiera, la ritrovai completamente bloccata da migliaia di altre auto. Non c’era spazio e dovetti attendere la fine della cerimonia e il deflusso.

In Mali il Marocco stava mettendo in atto un ulteriore tassello della sua politica africana: quello della formazione degli imam. Mediante un accordo tra i due Paesi, l’anno prima era sorto a Rabat l’istituto di formazione religiosa che porta il nome del re, dedicato alla formazione di 500 imam maliani. Lo scopo è la lotta contro il jihadismo e le varie forme di islam estremista (salafita, wahabita o fratelli musulmani) che da anni infestano il Sahel. Non soltanto al Mali il Marocco offre oggi, a sue spese, di formare imam a un “islam corretto e tollerante”, certamente tradizionale ma moderato e non violento. Oggi l’Istituto è frequentato da 1500 studenti che vengono da tutta l’Africa occidentale e anche dalla Francia.

In questo modo il Marocco si distingue dalla politica degli “imam itineranti” di marca saudita (o Paesi del Golfo), che attraversano l’Africa finanziando la costruzione di moschee e formando all’islam wahabita. Tale opera di predicazione e proselitismo va avanti da decenni, con una continua concorrenza tra “predicatori” sciiti o sunniti di varia estrazione estremista.
Ora il Marocco si presenta sul medesimo terreno come l’alternativa moderata e garantita ufficialmente dallo Stato. La Francia ne ha subito approfittato: i suoi 2500 luoghi di culto islamico circa fanno fatica a trovare imam di qualità e sono quindi preda di predicatori improvvisati, formati talvolta da emissari jihadisti o simili. In Francia vi sono circa 300 imam ufficialmente distaccati dall’Algeria (tradizionalmente il primo fornitore di specialisti in scienze religiose per il Paese transalpino) ma anche dalla Turchia e ora sempre di più dal Marocco. Non sfugge la competizione tra quest’ultimo con il suo vicino di Algeri, da cui lo distinguono storia e tradizione.

In Francia la questione ora è la mancanza di vocazioni: non ci sono abbastanza imam per guidare tutti i luoghi religiosi. Le liti intestine alle varie comunità, la reazione alle influenze radicali, la mancanza di fondi e il difficile equilibrio che in genere si crea tra imam (responsabile del culto) e presidente della comunità musulmana locale (da cui dipende la moschea) sono altrettante ragioni per tale carenza e hanno reso sempre meno attraente il mestiere. Di conseguenza prolificano imam senza preparazione, raffazzonati o temporanei.
Si tratta di una situazione che interessa anche le comunità islamiche negli altri Paesi europei, mentre in Africa le vocazioni ci sarebbero, ma è la formazione che fa difetto. Si pensi solamente all’insegnamento della lingua araba, costoso perché dura anni.

Tre anni fa il Marocco ha offerto alla Francia 50 posti all’anno nell’Istituto (tutto pagato) ma la quota non si riesce comunque a completare: oggi (il corso è triennale) ve ne sono 67 più 10 donne che si preparano a divenire predicatrici – a dicembre ha completato il corso il primo gruppo, di 19 ormai ex allievi. Le autorità francesi si sono cimentate con tale questione da molto tempo: quale statuto per l’islam di Francia? Come formare gli imam? Ecc. Vari governi e presidenti hanno provato a definire il “culto musulmano” senza successo, anche per la variegata rappresentazione di tale religione.

A dispetto di ciò che pensiamo dopo anni di terrorismo, non esiste un solo islam ma una vasta pluralità di tradizioni legate alle varie culture ma anche alle quattro scuole rituali riconosciute, pur in un quadro unitario di fede. Ovviamente la preferenza francese sarebbe per formare gli imam in casa propria, ma in mancanza di meglio si inviano in Marocco. Ora si attende la proposta del presidente Macron sulla “riforma dell’islam francese” attesa per il 2019, sulla quale vi saranno – non v’è dubbio – polemiche e dibattiti. Intanto il Marocco ha recentemente deciso di aprire un’antenna dell’Istituto a Evry, nei pressi di Parigi…

Foto: re Mohammed VI con un gruppo di imam appena diplomati, per la maggior parte subsahariani.



Mario Giro è docente di relazioni internazionali. Già viceministro degli Affari esteri e responsabile delle relazioni internazionali della Comunità di Sant’Egidio. Esperto in mediazioni e facilitazioni nei conflitti armati, cooperazione internazionale e sviluppo, Africa, Medio Oriente e America Latina. Autore di vari saggi e collaboratore di numerose riviste, ha recentemente pubblicato per Mondadori La globalizzazione difficile.

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