Si sta oggi confermando una realtà in netta controtendenza rispetto ai luoghi comuni sulle relazioni italo-africane. Mentre la politica si avvita su sé stessa, l’Italia imprenditoriale investe nel continente più della Cina, e più di Gran Bretagna, Usa e Arabia Saudita assieme. La Conferenza Italia-Africa del 25 ottobre prossimo è da seguire con attenzione.
È urgente che l’Africa si radichi con forza nel dibattito politico italiano non solo come problema legato alle vicende dell’immigrazione, ma anche come opportunità politica economica in una visione più ampia e futuribile. È indubbio che negli ultimi anni il totale disinteresse per le questioni africane nel mondo politico istituzionale italiano sia stato sostituito da una nuova attenzione. Il risveglio ha una data ben precisa, 30 dicembre 2013, quando l’allora ministro degli Esteri Emma Bonino lanciò l’iniziativa “Italia-Africa”, messa a punto e fortemente voluta dalla pancia del ministero, ovvero dai tecnici e dai dirigenti della Farnesina.
L’iniziativa Italia-Africa è riuscita a mantenere il momentum a cinque anni di distanza, come dimostra la seconda Conferenza Italia-Africa, che si terrà al Maeci (il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale) il 25 ottobre prossimo. Già questo è un risultato non scontato, visto che la politica italiana (così concentrata sulle sue questioni interne) tende a snobbare la politica estera, dando spesso l’impressione di seguire più i venti globali che una propria strategia. Cinque anni – con il conseguente alternarsi di governi, ministri, viceministri e sottosegretari – sono quindi sufficienti per trarre due conclusioni: la prima è che l’Africa è indubbiamente tornata dopo decenni di assenza nell’agenda politico-economica-sociale e culturale italiana, la seconda è che la strategia italiana verso l’Africa ha ancora molti margini di crescita, soffrendo a tratti di scarso coordinamento e apparente frammentarietà.
La sensazione è che la tensione dell’Italia verso l’Africa sia alimentata, voluta e fortemente spinta dal mondo istituzionale italiano. Sono le istituzioni, dal Ministero degli Esteri (che non a caso cinque anni fa creò la cornice di Italia-Africa per raccogliere sotto un unico cappello le molte iniziative che comunque l’Italia ha sempre portato avanti nel continente africano) alla Presidenza della Repubblica, a dettare tempi e agenda, non la Politica. La Politica, finora e pur con le naturali differenze personali dei suoi protagonisti, sembra non aver ancora percepito appieno potenziale e importanza dell’Africa. O, meglio, sembra non aver ancora elaborato una strategia di più ampio respiro in grado di mettere a sistema, con una prospettiva pluriennale, gli sforzi che tanti soggetti istituzionali e privati stanno realizzando.
Il forte baricentro interno alle questioni italiane e l’attenzione quasi esclusiva alle dinamiche europee in politica estera della politica italiana portano il continente ad essere presente con una certa continuità nel dibattito politico nostrano solo in collegamento alla cosiddetta “emergenza immigrazione”. Se è vero, come è vero, e come ha recentemente detto la nuova vice ministra degli Esteri Emanuela De Re incontrando per un saluto l’intero corpo diplomatico africano, che «l’Africa è un continente strategico per il futuro del pianeta», lo è ancora di più per l’Italia, che all’Africa è unita da un piccolo mare. Se i cinque anni passati sono serviti a riaccendere i motori e l’attenzione sull’Africa, i prossimi cinque dovrebbero essere utilizzati a elaborare una strategia di lungo periodo, lasciando poi alle varie forze politiche il compito di declinarla secondo le rispettive sensibilità.
L’urgenza di mettere in piedi attività concrete che diano una cornice unitaria da Sistema Paese alle molte azioni già in atto è legata al fatto che la “concorrenza” è sempre più feroce. Basta guardare alla fine di agosto e al mese di settembre appena conclusosi per rendersene conto. Mentre sui media e tra i politici nostrani il termine Africa continuava a comparire esclusivamente in discussioni incentrate sulle migrazioni, la premier inglese Theresa May e la cancelliera tedesca Angela Merkel erano impegnate, quasi contemporaneamente, in visite ufficiali in Paesi africani, accompagnate da folte delegazioni di uomini d’affari. L’inglese May non ha fatto mistero di voler dare nuovo slancio alle relazioni economiche con i Paesi africani membri del Commonwealth (ex colonie) per contenere le conseguenze della Brexit, e la Merkel ha apertamente spiegato che la visita in Senegal, Nigeria e Ghana aveva un valore prettamente economico, tesa a rafforzare gli scambi e la cooperazione.
È delle stesse settimane, poi, il terzo appuntamento tenuto in Cina per il Forum di Cooperazione Africa-Cina (Focac), che ha visto i capi di Stato e di governo di tutto il continente recarsi a Pechino e discutere di futuro. Che l’Italia possa e debba giocare un ruolo da protagonista in Africa, pur nella fase difficile che ci troviamo ad attraversare, non è una velleità. A dimostrarlo sono i dati sugli investimenti internazionali in Africa, che negli ultimi anni hanno visto l’Italia tornare in cima alle classifiche. Primo investitore globale nel 2015 e primo europeo nel 2016, nel 2017, secondo i dati diffusi quest’estate dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad), gli investimenti diretti italiani in Africa annunciati sono stati pari a un valore complessivo di 10 miliardi e 383 milioni di dollari (equivalenti a poco meno di nove miliardi di euro), posizionando il nostro Paese in testa alla classifica, sopra la Cina e anche più dei nuovi progetti d’investimento annunciati da Stati Uniti, Arabia Saudita e Gran Bretagna messi insieme. Le aziende italiane hanno capito e stanno capendo che l’Africa può essere un’opportunità, ora tocca alla Politica seguirle.
Massimo Zaurrini è direttore responsabile di InfoAfrica (servizio di informazione e consulenza dedicato agli sviluppi economici e politici dell’Africa), e di Africa e Affari (mensile dedicato all’economia e alla politica africana). Ha lavorato dal 2002 al 2011 per l’agenzia di stampa internazionale Misna, per la quale si occupava principalmente di Africa. Collabora con varie testate italiane e internazionali, in qualità sia di giornalista sia di opinionista con radio e televisioni. Dal 2015 è membro del Comitato d’Orientamento del Centro Relazioni con l’Africa (Cra) della Società Geografica Italiana (Sgi). Con Infinito Edizioni ha pubblicato due libri dedicati all’Africa: Savané. Bambine soldato in Costa d’Avorio (2006) e La radio e il machete. Il ruolo dei media nel genocidio del 1994 in Rwanda (2012).