Masto | Il ricordo di Davide De Michelis

di AFRICA

Eravamo a Kisimaio, la città più importante del sud della Somalia. Talmente importante da essere fuori controllo. O meglio, sotto il controllo delle milizie improbabili del generale Morgan. Un uomo spietato, che controllava un drappello di uomini con cui era riuscito a conquistare il porto, e quindi la città. Appena atterrati i miliziani avevano sequestrato i piloti del nostro aereo e ci avevano condotti a visitare il centro fino a mostrarci orgogliosamente la cattedrale, dedicata a San Francesco. Non ci avevano detto però che dall’altro lato della strada c’era la moschea frequentata dai fondamentalisti islamici.

Raffaele conosceva molto bene la Somalia, ci era stato diverse volte. A Mogadiscio aveva messo a segno un grande scoop: l’intervista al generale Aidid. L’uomo più ricercato dai marines americani, lui lo aveva incontrato e intervistato. Ma di scoop non voleva sentir parlare. Per lui era importante sentire anche “l’altra campana”, non seguire solo “il flusso”, quello che raccontano tutti. E così fece, fino ad arrivare ad Aidid, alla fine del 1993.

Con lo stesso spirito, cinque anni dopo, decidemmo di andare fin laggiù, a Kisimaio. Era con noi anche Alberto Chiara, per Famiglia Cristiana, che tanto ha scritto anche su queste colonne. Scendiamo dal pullmino e ammiriamo la facciata di quella che fu la cattedrale. Era l’ultima parete rimasta in piedi dell’unica chiesa del sud della Somalia. I miliziani del generale Morgan ce la mostrano orgogliosi. Raffaele scatta qualche foto, io giro con la telecamera. Sento un vociare alle mie spalle, ma non ci faccio caso. Spesso mi concentro anche troppo sull’immagine, tanto da perdere di vista quello che mi succede attorno. Una distrazione che, in certe situazioni, può costare molto cara…

Raffaele invece, ha sempre l’occhio attento, a 360 gradi. Io do la schiena alla gente, lui no. Avverte la tensione che monta. Sento le urla, ma ho altro da fare. Raffa non ci pensa due volte: “Andiamo via, vieni dentro”. Subito non gli rispondo, non volevo “sporcare” l’audio dell’immagine. Poi, visto che continua ad insistere, sbotto: “Aspetta!”. Mi prende per un braccio e mi tira con forza dentro la chiesa, mi nasconde dietro al muro e mi guarda negli occhi: “C’è un sacco di gente armata là fuori, uno ha puntato il fucile dritto sulla tua schiena!”.

Raffaele era così: audace ma attento. Sapeva tornare indietro, smettere, cambiare idea. Oggi si sente spesso parlare di resilienza. Lui, su questa capacità di assorbire gli urti senza rompersi, ha impostato la sua vita, umana e professionale. Andare fino in fondo, anche a rischio della vita. Lo ha fatto più volte, in Somalia e altrove. Con me anche in Ruanda, Sud Sudan e Haiti. Però era anche capace di fermarsi. In quella incredibile giornata a Kisimaio, abbiamo rischiato molto, in diverse occasioni. Poi, quando il nostro aereo è decollato ed eravamo abbastanza lontani per non essere colpiti, ci siamo detti forte e chiaro: in quelle condizioni, non si torna mai più. Fu l’ultima volta che ci andammo, 22 anni fa.

Raffaele Masto, 66 anni calati nel volto e gli occhi di un ragazzino. Fisico minuto, ma solido: proprio come lui. Sempre pronto a stupirsi, ad appassionarsi alle storie di vita quotidiana, alle persone meno conosciute e più vere. Capace di analisi geopolitiche di grande profondità, che esprimevano al meglio i quaranta e più anni passati a pane e Africa: viaggi e situazioni di vita vissuta prima di tutto, e poi tante letture, incontri, interviste… Esperienze che ha narrato a Radio Popolare di Milano, ma anche a molte altre testate, nel suo blog “Buongiorno Africa”, in vari servizi per la rivista dei padri Bianchi, “Africa”, nei documentari che abbiamo realizzato insieme e con il collettivo di giornalisti “Hic Sunt Leones”, oltre che nei suoi libri.

Da giornalista, reporter, Raffaele è diventato uno scrittore. Ricordo bene quando mi sottopose il manoscritto del suo primo libro: “In Africa. Ritratto inedito di un continente senza pace”. L’ho letto di un fiato e gli ho detto: “Bello, bellissimo, ma non te lo pubblicherà mai nessuno! Tu sei il Kapuscinsky italiano. Ma Kapuscinsky c’è già, quale editore si prenderà il rischio di pubblicarti, per parlare di Africa poi…”. Lui ha insistito, resilienza, appunto, tanto che Sperling & Kupfer gli ha dato ragione, pubblicandolo. In dieci anni ha scritto altri otto libri, sempre dedicati all’Africa ed a storie africane.

“La capacità di adattamento alla realtà degli africani mi ha sempre affascinato e più che nei politici, nei leader guerriglieri o nei presidenti è visibile nella gente comune”. Ancora una volta: resilienza. Il famoso “Mal d’Africa”, Raffaele Masto lo interpretava così: “Non ho ben chiaro attraverso quali circuiti mentali ciò sia successo, ma so che è avvenuto come se di volta in volta mi rendessi conto di non riuscire a spiegare avvenimenti e fatti senza fare ricorso alla parte più emotiva del mio essere. L’incontro con l’Africa risveglia questa parte di noi e l’impatto, di solito, è traumatico ed affascinante allo stesso tempo”.

Questo è il pezzo che non avrei mai voluto scrivere. Il coronavirus in pochi giorni si è portato via una delle voci più più lucide ed autorevoli su cui l’Africa e molti africani potevano contare, in Italia. Ma soprattutto si è portato via un Uomo, e per me un grande amico. Buon viaggio, Raffa.

(Davide De Michelis)

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