Liberamente ispirato al romanzo La ferita, quella vera di François Bégaudeau (autore de La classe), l’ultimo capolavoro di Kechiche è il racconto, immerso nella luce mediterranea, di un’estate di amori e tradimenti.
Attraverso lo sguardo di Amin (Shaïn Boumedine), aspirante sceneggiatore tornato da Parigi per trascorrere le vacanze nella sua città natale, entriamo nel cuore di Sète, nel sud della Francia. La spiaggia, il ristorante tunisino, i locale dove si beve e si balla musica araba, la discoteca, tutto sembra vorticare intorno ad un cuore pulsante: la piccola comunità tunisina che ancora non ha tagliato il cordone ombelicale con il paese d’origine, mitico Eldorado, continuamente citato dai protagonisti.
Amin è innamorato di Ophélie, figlia di pastori. La osserva, ascoltando le sue confidenze, la segue anche nelle stalle dove la ragazza, senza interrompere il flusso di chiacchiere, allatta gli agnellini. Amin osserva e fotografa, cercando di cogliere il succo della vita, senza giudicarne gli eccessi.
Il regista spinge sull’accelleratore, esasperando i tratti distintivi del suo stile: tempi dilatati, centralità dei corpi, flusso di parole. Uno stile che va nella direzione del realismo estremo ma che è intriso di una raffinata costruzione estetica. Niente è lasciato al caso nella costruzione dell’inquadratura dove, come in un quadro, ogni singolo dettaglio è denso di significato.
“Questa luce è la libertà di pensiero, la libertà che rivendico” ha dichiarato il regista. Un inno alla libertà e all’amore, una riflessione sul cinema come sguardo sul mondo, libero da costrizioni ideologiche e di mercato.
Unica pecca della distribuzione italiana, il doppiaggio. Consigliamo vivamente la versione originale con sottotitoli.
(Simona Cella)
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