Meraf Villani ha 24 anni, è una studentessa di giurisprudenza di origine etiope. È stata adottata insieme al fratello quando aveva nove anni, e da allora vive a Lecco. Ha scelto di correre alle elezioni amministrative della sua città con la lista civica Con la sinistra cambia Lecco. Nei giorni scorsi si è trovata suo malgrado al centro di uno sgradevole scambio di opinioni con il candidato sindaco del centro-destra, Peppino Ciresa, che l’ha definita pubblicamente “una baluba”.
Cosa è successo Meraf? «Una testata locale aveva organizzato un confronto tra gli aspiranti primi cittadini. A un certo punto si parlava di sicurezza e il moderatore ha messo in relazione la questione con il fenomeno migratorio. Ciresa ha avallato il punto di vista, rferendo che alcune mamme lecchesi gli avrebbero detto che non facevano più uscire i figli per paura. Subito dopo ha precisato però di non essere razzista, di non avere niente contro gli immigrati, tanto da tenerne uno, nero però perfettamente integrato, nel suo panificio. Ho trovato questa affermazione pessima e, a confronto concluso, sono andata dal candidato di centro-destra per spiegare il mio punto di vista».
Cosa l’ha urtata in questa affermazione, che tra l’altro rappresenta un topos ricorrente in molte conversazioni contemporanee? «Trovo sbagliato mettere in connessione il valore di una persona con il colore della sua pelle. Sottolineare il colore rivela già un’idea di fondo pregiudiziale: siccome sei nero mi aspetto che tu debba essere non integrabile, inadatto alla vita sociale. E se invece ti riveli adatto rappresenti un’eccezione».
Torniamo all’alterco. Cosa è successo dopo? «Ho domandato a Ciresa perché considerasse un motivo d’orgoglio avere un dipendente nero. Se qualcuno avesse parlato di me in quei termini mi sarei sentita molto offesa. Non vorrei mai essere considerata un modello in quanto nera. Lui ha reagito male, ha fatto riferimento ai valori cristiani e io gli ho chiesto cosa ci fosse di cristiano nel suo comportamento. Quando mi sono allontanata, rivolto ai suoi, ha detto: “lasciatela stare, è una baluba”. Baluba, come è noto, è un’etnia che vive nel Katanga, ma nel linguaggio comune è diventato un termine dispregiativo, una sinonimo di selvaggio. È un’offesa e i termini usati per offendere rivelano molto di chi li usa. Nel caso specifico rivelano ignoranza del significato delle parole e la convinzione che si possa trattare un’altra persona come inferiore perché nera e giovane. Io ho pensato che fosse giusto raccontare l’accaduto: quest’uomo aspira a una carica pubblica e gli elettori devono sapere chi è».
Come mai ha deciso di candidarsi? «Perché condivido i valori che ispirano la lista civica con cui corro, in particolare l’impegno per assicurare a tutti il riconoscimento dei diritti fondamentali: i diritti, infatti, o sono per tutti o non sono per nessuno. E perché credo che ciascuno di noi debba fare la propria parte».
L’Italia è un paese razzista? «In Italia, in questi ultimi anni, si sono palesati sempre più spesso e in modo sempre più smaccato atteggiamenti e discorsi razzisti. Contemporaneamente però sta aumentando la consapevolezza e il metissage sociale, che non è solo un fatto di colore. In Italia poi c’è un grosso problema che riguarda la conoscenza dei paesi da cui provengono i migranti e, in particolare, del continente africano, che – come nel suo piccolo ha dimostrato il candidato Ciresa – continua a essere percepito come una sorta di immensa nazione selvaggia. Oggi, in piena era digitale, questa ignoranza non è più accettabile o scusabile e presta il fianco a molti atteggiamenti sbagliati. Ma attenzione, anche l’immagine dell’Africa come vittima perenne del colonialismo, a mio avviso, produce molte distorsioni».
In che senso? «Non voglio essere fraintesa: il colonialismo è stata una cosa orribile, ha prodotto molti danni e lungi da me l’idea di imbellettarlo. Ma occupa nella storia africana una frazione temporale limitata. Continuare a parlarne e ad attribuirgli tutte le responsabilità e tutti i mali deforma la realtà e ci spinge in un certo senso a dare all’Occidente più importanza e potere di quanto ne abbia».
Quali sono le priorità politiche, secondo lei, oggi in Italia per quanto riguarda l’impegno antirazzista? «Due nodi politici vanno assolutamente affrontati: la legge sulla cittadinanza, che deve essere modificata e il diritto di voto amminstrativo che deve essere riconosciuto agli stranieri lungosoggiornanti. Poi c’è la lotta al caporalato e allo sfruttamento del lavoro, che non riguarda solo gli stranieri, ma soprattutto sì».
E per quanto riguarda il discorso culturale? «Bisogna favorire l’incontro e le mescolanze, abbattere i muri, a tutti i livelli. Io sono piuttosto critica nei confronti dei movimenti che ripropongono a vario titolo la contrapposizione tra neri e bianchi e il comunitarismo. Posso capire le ragioni psicologiche che spingono tanti a sposare questo punto di vista, ma trovo che non sia questa la strada da percorrere».
(Stefania Ragusa)