Ne abbiamo dato notizia, poi abbiamo aggiunto altri dettagli (il nome, la provenienza, l’età – non 10 anni ma 14). Ma adesso sappiamo qualcosa di più di Laurent-Barthélémy Ani Guibahi, il ragazzino trovato morto, a Parigi, nel carrello di atterraggio di un aereo proveniente da Abidjan. Laurent era, secondo le testimonianze di suoi compagni di scuola e insegnanti, uno come tanti. Come i tanti studenti – quasi settemila – del liceo municipale “Simone Ehivet Gbagbo” (il nome, en passant, di una ex first lady, tuttora vivente e tra l’altro prima donna indagata dalla Corte penale internazionale). Tanti non solo in questa grande scuola di Yopougon, uno dei quartieri più noti della capitale economica ivoriana, immortalato anche dai fortunati albi Aya de Yopougon, ma anche nella sua stessa aula: Laurent aveva 111 (non è un refuso) compagni di classe. Basta stringersi e stare in quattro in un banco per due. «Un allievo davvero come gli altri – assicura il vicario del dirigente scolastico –: né brillante né problematico dal punto di vista della condotta».
E a casa? Be’, anche lì si sta un po’ stretti. Il padre, che dà lezioni private di materie scientifiche «quando càpita», non può permettere alla sua famiglia più di 15 metri quadri suddivisi in due stanze, dove vivono in cinque. In effetti Ani Oulakolé Marius si era quasi risolto a ritornare alla città d’origine. Il progetto era poi saltato ma intanto Laurent si era già iscritto; così, l’anno scolastico precedente lo aveva fatto a Gagnoa, ospite di uno zio. «L’anno scorso – dice il padre al corrispondente di Le Monde, Yassin Ciyow, che ha raccolto sul posto molte di queste informazioni – ha concluso come quarto della sua classe, con la media del 14,5 [su 2]. Come me, il suo forte erano le scienze».
Il 2019 è stato un anno difficile per la scuola in Costa d’Avorio, turbato da numerosi scioperi che sono talvolta scivolati in atti violenti. Laurent aveva visto un suo amico essere accoltellato. «Da allora – ricorda il suo mezzo fratello, ventottenne – non parlava più molto, e diceva che era troppo pericoloso studiare in questo Paese». In effetti la pagella di prima di Natale era un’altra cosa, con la media del 9 (in Italia, diremmo del 4 e mezzo). «Non s’interessava più alle lezioni, aveva la testa altrove». E non solo la testa. Il fratello è convinto che «qualcuno l’abbia manipolato: si era messo a passare molto tempo al cybercafé, deve avere trovato qualche passeur che l’ha abbindolato e gli ha dato le istruzioni». In effetti alcuni suoi compagni confermano che da novembre saltava spesso le lezioni. Appunto per andare all’internet café. Era là anche la domenica. Prima di quel fatale lunedì.
Il 6 gennaio era uscito di casa più equipaggiato del solito. L’aeroporto distava trenta chilometri da casa. Una volta arrivato, ha saltato il muro, si è acquattato. Ed ha aspettato. Non ha nemmeno preso con sé il suo bagaglio: è scattato al momento giusto verso l’aereo giusto, balzando nel vano carrello appena prima che si mettesse a rullare. «Gli piaceva parlare dei Paesi europei, la Germania, la Spagna, la Francia – dice un suo amico –. Parlava della torre Eiffel. Ha detto che un giorno avrebbe voluto vederla».
Séraphin, un altro amico, non è restato sorpreso più di tanto nell’apprendere la fine di Laurent. «Aveva preso l’abitudine di imitare l’accento dei bianchi, quando parlava in francese. Si preparava a partire. Sicuramente».
Secondo l’Alto Commissariato per i Rifugiati (Unhcr), tra il 2015 e il 2017 circa 30.000 ivoriani hanno fatto richiesta di asilo in Europa. La Costa d’Avorio è al terzo posto tra i Paesi col maggior numero di richiedenti asilo in Europa, dietro Siria e Nigeria.
Laurent-Barthélémy Ani Guibahi nella foto fatta circolare dal suo liceo il giorno della scomparsa