«Difficile dire quanti siano i miliziani dell’Isis in Libia. Non sono però molti e non è comunque molto complicato sconfiggerli. Serve la volontà di farlo. La volontà delle grandi formazioni politiche e militari libiche e della comunità internazionale. Italia in primis». Karim Mezran, italolibico, analista dell’Atlantic Council, è forse uno dei maggiori conoscitori della Libia. I suoi studi e le sue conoscenze in Libia ne fanno una voce ascoltata.
Secondo Mezran, la eco mediatica sollevata sull’occupazione di Sirte da parte di alcune milizie legate all’Isis è esagerata. «Non vanno sopravvalutati – spiega -, ma non va neppure lasciato loro troppo spazio. Bisogna muoversi sul terreno. E a pensarci devono essere i libici. Il governo di Tobruk e quello di Tripoli devono unire le loro forze e agire. Se riusciranno a creare un esecutivo di unità nazionale, non avranno problemi a sconfiggere quei pochi fanatici». Un accordo politico però dev’essere seguito anche da un’intesa sul terreno tra le principali milizie e, in particolare, quelle «laiche» di Zintan e quelle «religiose» di Misurata. Ma su questo punto Mezran non ha dubbi: «Vedrete che Zintan e Misurata si uniranno: è nel loro interesse. Se non lo facessero allora davvero le milizie jihadiste (oltre all’Isis ci sono anche altre formazioni che si riconoscono nell’Islam radicale) prenderebbero il sopravvento».
E quale ruolo può giocare l’Italia? «Un ruolo fondamentale. Roma ha mandato truppe in Afghanistan, Libano, Bosnia. Paesi dove gli italiani non hanno un interesse economico diretto e con i quali non hanno neppure legami storici. L’Italia dovrebbe ritirare i propri uomini da quelle nazioni e creare un contingente da mandare a supporto delle istituzioni libiche. Tenete conto che tenere la Libia non è difficile: è sufficiente controllare Bengasi e Tripoli, le due principali città».
Nelle scorse settimane da più parti si è parlato della necessità di un sostegno più aperto da parte dell’Italia al governo di Tobruk e, soprattutto, al generale Khalifa Haftar. «Haftar – continua Mezran – è un personaggio inaffidabile. È la sua stessa storia a dirlo: ufficiale di Gheddafi, fuggito dalla Libia, rifugiatosi negli Stati Uniti, ritornato in patria con i soldi di alcuni ricchi finanziatori. Oggi si è creato un esercito, ma dopo mesi di combattimenti non è riuscito neanche a conquistare Bengasi. E poi, qualora prendesse il potere, quali scopi ha? Quali i suoi obiettivi?». Lo stesso discorso vale per l’Egitto: «Il Cairo vuole vendicare i 21 copti morti nei giorni scorsi. Ma è solo un pretesto. Gli egiziani hanno sempre avuto mire espansionistiche sulla Cirenaica. Una regione vastissima e ricchissima di risorse (petrolio e gas). Quindi, in un’ottica libica, è meglio che gli egiziani se ne stiano fuori».
Infine Mezran lancia una nuova chiave di lettura della crisi libica. «Ma nessuno si è chiesto perché tutto ad un tratto sono emerse queste milizie jihadiste? Questi gruppi sono spuntati nel caos libico per colpa dei dissidi tra Tobruk e Tripoli e perché creano instabilità. Dietro di loro però c’è chi vuole questa instabilità e la fomenta: sono i trafficanti di uomini, droga e armi. Sono loro i veri artefici di questo caos. Un governo di unità nazionale potrebbe riportare tranquillità e combattere con più efficacia questo malaffare. Se poi l’Italia desse il suo contributo, in pochi mesi la Libia tornerebbe un Paese sicuro».