Miniere africane, sfruttatori transnazionali

di Stefania Ragusa

Rapporti e indagini si sono spesso concentrati sui politici che traggono vantaggi sconfinati e personali dalla ricchezza mineraria dei loro paesi, spesso attraverso la corruzione e grazie alle tangenti versate dalle società estrattive. Meno frequentemente l’attenzione dei media si è rivolta al ruolo chiave degli attori internazionali. Il giornalista Twanda Karombo, che segue in particolare l’attualità del Sudafrica e dello Zimbabwe, rileva dalle pagine di Quartz, quanto il settore delle risorse minerarie africane sia stato legato a lungo ad attori internazionali. E cita due casi recenti: il primo riguarda il miliardario israeliano Dan Gertler, beneficiato da Donald Trump all’ultimo minuto, con un provvedimento legislativo ad hoc che gli permetterà di fare affari nella RDC ancora per un anno; il secondo il magnate franco-israeliano Beny Steinmetz, condannato in Svizzera per un affare losco legato all’estrazione di diamanti.

«I due casi di miliardari minerari israeliani in Guinea e nella RDC mostrano come la governance debole e i sistemi operativi in ​​tutta l’Africa siano facilmente sfruttati da intrusi stranieri spesso in collaborazione con addetti ai lavori del governo», scrive Karombo. Il settore estrattivo globale è notoriamente incline alla corruzione, afferma la National Resources Governance Initiative, ma questo è particolarmente vero nei mercati in via di sviluppo ed emergenti. Secondo l’OCSE, il settore rappresenta un caso su cinque di corruzione transnazionale. Per troppo tempo la ricchezza mineraria dell’Africa non è riuscita a sollevare la maggior parte dei cittadini comuni dalla povertà. Paesi ricchi di risorse tra cui Zimbabwe (oro, platino, diamanti), Sierra Leone (diamanti), RDC (rame, cobalto, oro, diamanti), Guinea (minerale di ferro, bauxite) e altri ancora si trovano sono fanalini di coda nelle varie classifiche di povertà globale e sviluppo umano.

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