Modello Zambia, dal default alla ripresa

di claudia
Hakainde Hichilema

Di Angelo Ferrari

Non è ancora un miracolo, ma lo Zambia sembra essere avviato su una strada virtuosa. E il merito va tutto al presidente, Hakainde Hichilema, eletto poco più di un anno e mezzo fa. L’eredità ricevuta dal suo predecessore, Edgar Lungu, era a dir poco disastrosa. Il paese, nel 2020, è stato dichiarato tecnicamente in default. Per la prima volta non è riuscito a ripagare il suo debito. Le cose, oggi, non è che vadano meglio, ma di certo il paese sta “rinascendo”.

Il suo problema maggiore, appunto, era, ma lo è ancora in parte, il suo debito estero, la stima è di 17,3 miliardi di dollari, ma la volontà del suo presidente, cioè ristrutturare il debito sovrano rendendolo sostenibile, ha innescato un meccanismo virtuoso, tanto che i creditori bilaterali dello Zambia, tra cui Francia, Regno Unito e, soprattutto, Cina, hanno concordato di fornire assicurazioni finanziarie, indispensabili per ottenere un salvataggio economico. Ciò ha consentito, dopo mesi di serrate trattative, al Fondo monetario internazionale (Fmi) di concedere un prestito di 1,3 miliardi di dollari, in aggiunta a un’altra ripartizione di oltre 900 milioni di diritti speciali di prelievo, messa a disposizione un anno prima. La Banca mondiale, inoltre, ha approvato aiuti per 275 milioni di dollari, per consentire allo Zambia di riprendersi dalle conseguenze della pandemia e affrontare le ricadute negative della guerra in Ucraina. I fondi sono messi a disposizione dell’International Development Association (Ida), una sussidiaria della Banca mondiale che aiuta i paesi più poveri del pianeta, attraverso donazioni o crediti a tasso zero. Questi aiuti dovrebbero sostenere l’economia e il welfare del paese, tornare a un debito sostenibile e a promuovere la crescita del settore privato. 

Sul fronte del debito, poi, la Export-Import Bank of China (EximBank) guiderà il team di Pechino per rinegoziare quasi 6 miliardi di dollari di prestiti che lo Zambia deve ai creditori statali cinesi. EximBank, il più grande creditore cinese in Zambia, è il fulcro della Belt and Road Initiative cinese, sovraintendendo ai prestiti infrastrutturali. La Cina, infatti, è il più grande creditore bilaterale del paese, e rappresenta il 75% di ciò che lo Zambia deve alle nazioni, tra cui Francia e India. Il processo di negoziazione sul debito della Cina, tuttavia, è monitorato attentamente da creditori e investitori: Pechino ha sempre avuto la tendenza a offrire una riduzione del debito estendendo le scadenze piuttosto che accettare svalutazioni sui prestiti.

Il presidente Hichilema, inoltre, ha messo in campo una serie di misure fiscali e monetarie per affrontare la crisi e un programma di riforme per ridare credibilità al paese. Ciò ha comportato, anche, sacrifici per la popolazione, ma sta cominciando a dare i sui frutti. Il crollo della moneta locale, il kwacha, è stato arginato. Ma non solo. Nel giro di una anno il presidente è riuscito ha portare l’inflazione dal 24,4% al 9,8% attuale, meglio di quanto hanno fatto economie molto più sviluppate come quelle del Sudafrica, Nigeria, Kenya e Ghana, in quest’ultimo paese l’inflazione ha sfiorato il 50%. L’obiettivo del governo è ridurre ulteriormente l’inflazione portandola al 6% nel primo trimestre del 2024.

L’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, poi, è stato contenuto anche grazie alla decisione del governo di abolire il dazio del 5% sull’importazione di bovini e pollame da allevamento, oltre ad aver offerto incentivi tecnologici e monetari agli agricoltori. Hichilema, tuttavia, ha un compito arduo: riformare il settore minerario che da solo vale il 10% del Pil, e non può semplicemente fare affidamento sull’innalzamento del prezzo del rame, il principale settore minerario del Pase. Il Pil per il 2022 dovrebbe attestarsi intorno all’1,9% per poi salire nel 2023 al 2,6%.

Lo Zambia, dunque, ha intrapreso una strada virtuosa anche se le sfide che lo attendono sono enormi. Ora il paese ha bisogno di ancorare la sua agenda economica intorno alle riforme, alla creazione di posti di lavoro, allo sviluppo sociale, alla sostenibilità ambientale, al buon governo e alla riduzione della povertà.

Il paese dell’Africa australe, infine, potrebbe rappresentare un esempio “politico” per altri paesi africani, soprattutto quelli dove i presidenti sembrano essere inamovibili. Caso raro in Africa, però le elezioni presidenziali hanno sancito l’alternanza al potere. Nulla hanno potuto, infatti, i tentativi dell’allora presidente uscente, Edgar Lungu, di cambiare la Costituzione a suo vantaggio prima e, poi, dichiarare la nullità delle elezioni.

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